Il contributo di Pina Onotri, Segretario generale del Sindacato Medici Italiani
Uno tsunami, di cui non siamo stati capaci di prevedere la potenza devastante e valutare le conseguenze. E si che i segnali ci sono stati tutti; abbiamo avuto due mesi per prepararci, ma abbiamo preferito fare come gli struzzi e pensare che, in fondo, la Cina era lontana, che era meglio dedicarci agli aperitivi, e fatto sì che quello che doveva essere un dibattito puramente scientifico, in cui avevano diritto di parola solo gli esperti, si trasformasse in un dibattito politico con al seguito, ognuno, le sue tifoserie.
Possiamo senz’altro affermare che c’è stata una sottovalutazione del problema (la Cina era in lockdown e noi siamo rimasti in attesa), una mancata pianificazione (vedi piani pandemici non aggiornati e mancare scorte di dpi e quant’altro necessario) e corti circuiti organizzativi (errori di trasmissione nella catena di comando). Senz’altro la calamita che si è abbattuta sulle nostre teste ha messo in evidenza le criticità del sistema e la fragilità degli stessi operatori.
Abbiamo finalmente capito, ma lo avevamo capito già da anni, che la modifica del titolo V della Costituzione è stata una sciagura per il popolo italiano. Abbiamo creato 21 sanità regionali che corrono a 21 velocità diverse e nascere in un posto, piuttosto che in un altro, può fare la differenza tra la vita e la morte e che i cittadini non sono tutti eguali di fronte alla malattia e che il diritto alle cure non è ugualmente esigibile dal nord al sud del Paese.
Abbiamo finalmente capito, ma l’avevamo già capito prima, che la salute non è un costo, ma un investimento, uno degli asset strategici del Paese e che è un bene prezioso e, per questo, non può essere esternalizzato neanche ad organismi istituzionali come le regioni, ma lo Stato, inteso come collettività, se ne deve fare carico.
Abbiamo capito che il neoliberismo in sanità non paga e la spinta verso la privatizzazione, in alcune regioni più che in altre (leggi Lombardia), paga ancor meno.
In Lombardia si è cercato di privatizzare anche il sistema di cure primarie ed il risultato è sotto gli occhi di tutti. Inascoltate Cassandre, all’epoca, non ci è rimasta altra scelta che impugnare la delibera regionale che appaltava la cura dei cronici ai cosiddetti “gestori”.
Si parla da anni di rafforzare il territorio. In che modo e con che regole siamo ancora in attesa. La pandemia, nel frattempo, ha messo in evidenza la fragilità delle figure che operano nel territorio: medici di famiglia, guardie mediche, operatori del 118, pediatri, medici Inps. Fragilità derivanti dalla ambivalenza del loro status giuridico: liberi professionisti, imprenditori di se stessi, parasubordinati? La realtà è che vengono percepiti come un corpo estraneo rispetto al sistema, non integrati, lasciati a se stessi, a partire dall’assetto organizzativo e dalla mancanza di tutele, tant’è che si sta cercando di correre ai ripari con una legge che riconosca anche ai medici convenzionati, coinvolti nella pandemia, il diritto all’infortunio sul lavoro.
Quanto avrebbe fatto comodo in questo frangente avere qualche tutela in più, un congedo parentale per poter stare con i propri figli, considerato che le scuole sono chiuse; la possibilità di poter usufruire dell’autoisolamento, se ci fosse stata necessità, come previsto per le persone fragili. Invece nulla. Ci siamo dovuti arrangiare con i figli, da malati continuare a lavorare per l’impossibilità di farci sostituire, siamo morti senza sapere quali tutele fossero previste per le nostre famiglie. È ora di pensare ad una sorta di dipendenza atipica, cominciando ad uniformare (e in tema di compensi che di tutele) i vari settori della medicina generale già oggi contemplati nella stessa area contrattuale. È ora di pensare ad un contratto unico per tutti gli attori del Ssn e stabilizzare finalmente i precari, del sistema emergenza urgenza del territorio, dell’Inps (ancora in attesa di un ACN), e rispolverare la legge 502/92 per dar modo ai medici convenzionati di ritornare nelle scuole, nei consultori a fare prevenzione, di collaborare ai vari servizi distrettuali per rafforzare quel territorio di cui si parla tanto, ma per cui non si fa mai niente.
E che dire della dirigenza? I colleghi sono stati e sono al fronte portandosi sulle spalle il peso di organici ridotti, reparti soppressi, ospedali chiusi, turni di riposo e straordinari negati. Negato anche il bonus economico che era stato previsto che, per carità, non avrebbe fatto la differenza per nessuno di loro (quello che è stato fatto non ha prezzo), ma sarebbe servito semplicemente a testimoniare la vicinanza delle istituzioni ai propri soldati in trincea. Ma si sa da eroi ad imputati è un attimo.
Come affrontare la fase due? Non ci sarà nessuna fase due, ma una fase 1 senza fine se non si trovano risposte adeguate a tutte le criticità messe sul piatto.