Secondo un sondaggio nazionale della Mayo Clinic riferito al 2014, il 55% dei medici negli Stati Uniti è colpito dalla sindrome da burn-out, il crollo psico-fisico del lavoratore, percentuale aumentata del 10% in soli tre anni. Le cifre più elevate si evidenziano tra gli urologi (63,6%), i fisiatri (63,3%) e i medici di medicina generale (63%). Le donne rischiano di più rispetto ai colleghi maschi, probabilmente per la più giovane età media.
Della stessa opinione sono gli specialisti francesi, che stanno ancora sperando che la proposta di legge dell’ex ministro socialista Benoît Hamon del maggio scorso, di riconoscere il burn-out come malattia professionale, trovi spazio nella legislazione odierna. L’idea che ritmi di lavoro troppo serrati e la notevole riduzione delle ore di riposo possano far male, fino a portare lo specialista ad un serio crollo psico-fisico, è sposata anche dai camici bianchi italiani, che a fine novembre sono scesi in piazza al fianco dei propri sindacati per denunciare la mancata applicazione della Legge 161 che applica la direttiva europea 2003/88 sugli orari di lavoro.
Ora l’aumento del personale sembra essere l’unica soluzione possibile per garantire turni equilibrati. Insomma, rispolverando un vecchio e glorioso detto: «Lavorare meno, lavorare tutti…».