Il presidente dell’Accademia dei Lincei ha poi sottolineato l’importanza, per l’autunno, di aumentare di dieci volte la capacità di fare tamponi. Per Filippo Anelli (FNOMCeO) è necessario «mettere i risultati dei test, nel rispetto della privacy, a disposizione di medici di famiglia e pediatri». Ascoltati anche Boggetti (Confindustria Dispositivi Medici) e Gualano (Università di Torino)
«I dati che emergeranno dagli studi sierologici avviati devono essere resi disponibili al pubblico e alla comunità scientifica. La trasparenza è una questione di metodo scientifico per sviluppare un dibattito all’altezza. Nel Decreto manca però una norma che lo preveda». La richiesta è stata lanciata dal fisico e presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei Giorgio Parisi, in audizione in Commissione Sanità al Senato nell’ambito dei lavori sul Decreto Legge n.30/2020 denominato “Studi epidemiologici e statistiche su Sars-Cov-2” che ha dato avvio ai test sierologici su un campione di 150mila persone distribuite in duemila comuni italiani. Un’indagine epidemiologica su scala nazionale, “firmata” dal ministero della Salute e dall’Istat, in collaborazione con la Croce Rossa italiana che con i suoi volontari arriverà alle persone scelte per la campionatura.
Secondo Parisi è fondamentale capire come il virus si diffonda nei luoghi di lavoro, quali siano i luoghi di lavori più pericolosi e quanto si diffonda nelle scuole, soprattutto «nelle scuole d’infanzia e nelle scuole elementari dove i bambini interagiscono fortemente tra di loro».
Per il presidente dei Lincei è essenziale evitare una nuova ondata grave di contagi nei prossimi mesi e per far questo dovremo essere in grado di fare quanti più tamponi possibile: «In inverno – spiega Parisi – ogni giorno 500mila persone lamentano sintomi riconducibili al Covid come tosse o raffreddore. A novembre bisognerà essere in grado di fare dieci volte i tamponi che si fanno adesso».
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Anche Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (FNOMCeO), ha lodato l’iniziativa del ministero della Salute volta a comprendere quante persone in Italia hanno sviluppato gli anticorpi al Covid-19, anche in assenza di sintomi, e a stimare le dimensioni e l’estensione dell’infezione. Anelli ha tuttavia suggerito alcune correzioni, come quella di «mettere i risultati dei test, anche in forma anonima e aggregata, e comunque nel rispetto della privacy, a disposizione del medico di medicina generale o pediatra di libera scelta che hanno in carico l’assistito per coinvolgerli pienamente anche negli ulteriori passaggi e accertamenti da attivare».
Un impegno che si prospetta importante anche in termini di tempo, lavoro e responsabilità per MMG e pediatri ma, fa notare Anelli, «allo stato attuale, all’interno di questo provvedimento, non è previsto alcun fondo ad hoc da destinarsi per tale fattispecie».
Maria Rosaria Gualano, professore associato di Igiene e Medicina Preventiva all’Università di Torino, ha ricordato invece come in tutti i casi questi test, al momento, non conferiscano alcuna patente d’immunità: «Noi andiamo a capire se ci sono le IgG che danno immunità a lungo termine e che vengono prodotte nella seconda settimana di malattia, ma non sappiamo quanto possa durare la presenza di questi anticorpi».
«L’esempio spagnolo – ha ricordato Gualano – ha rilevato che su 61mila testati la percentuale di persone con le IgG è stata del 5%. Una percentuale bassa, confermata anche dal dato della Svezia, un Paese che pure ha attuato una diversa politica di contenimento del virus: a Stoccolma, la città più colpita, la percentuale di popolazione con anticorpi è stata del 7,3%».
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Per Massimiliano Boggetti, presidente di Confindustria Dispositivi Medici, è importante che «venga fatto uno studio sui test diagnostici disponibili per Covid-19 e che vengano stabiliti i criteri di accettabilità in termini di sensibilità e specificità in modo da aprire il più possibile a diversi fornitori».
Secondo Boggetti «si tratta di una protezione necessaria per il nostro Paese perché affidarci ad un unico fornitore può generare una forte dipendenza e mettere il nostro Paese in una situazione di crisi di approvvigionamento». Boggetti, parlando di studi epidemiologici e statistiche su Sars-CoV-2 e del relativo provvedimento al riguardo, rileva oggi una «grande disomogeneità di approccio sul territorio», mentre a suo avviso quando ci si muove verso questi studi epidemiologici serve «che ci sia un coordinamento fra ciò che a livello centrale si pensa di fare e quello che le Regioni stanno facendo».
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