Il racconto di un oncologo sul New England Journal of Medicine: «Mi aspetto un picco bimodale, le morti dei pazienti oncologici con Covid e quelle dei tanti che hanno visto le cure indebolite o rimandate»
La vita degli oncologi e dei pazienti oncologici era già abbastanza dura prima del coronavirus; ma dopo l’epidemia da Covid-19 è diventata una vera e propria fatica mitologica, tanto che ci si sente come se ci si trovasse “fra Scilla e Cariddi”: è proprio questo il titolo che Mark A. Lewis, oncologo americano in servizio nello stato dello Utah, ha scelto per il suo articolo pubblicato dal New England Journal of Medicine: «Con una frequenza dolorosa io dico alla gente che ha il cancro, e a volte devo aggiungere una coda brutale, sottolineando che la condizione è incurabile. Nella mia storia professionale mi sono progressivamente abituato alla paura primordiale, ma non ho mai visto un panico così generalizzato fra le persone da me in cura come durante la pandemia da SARS-CoV-2».
Come è noto, infatti, la presenza di una patologia oncologica era ed è un fattore di rischio per la malattia da coronavirus per cui sono disponibili delle specifiche linee guida pubblicate anche dal ministero della Salute italiano; e «nonostante questa pandemia abbia dei rischi nel senso più ampio – spiega il dottor Lewis – alcuni sottogruppi appaiono particolarmente vulnerabili a stadi critici e al rischio di morte. I ricercatori cinesi hanno registrato che i pazienti con il cancro ed il Covid-19 corrono un rischio di ventilazione invasiva, trasferimento in terapia intensiva o morte fino a cinque volte superiore rispetto ai pazienti senza cancro. Persino una remota storia oncologica sembra moltiplicare il rischio di esiti problematici, dovuti probabilmente ad una protratta immunodeficienza» e, in generale, «la maggior parte dei pazienti oncologici, paragonandosi ai loro pari in salute, si percepiscono come aventi un rischio maggiore di contrarre il Covid-19, specie se sono in terapia».
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La malattia da coronavirus, continua il dottor Lewis, sembra un buon momento per diffondere alcune basi di oncologia prima di tutto fra la comunità medica, se è vero che, a suo dire, «le persone, inclusi i medici, non si fermano spesso a considerare come è che il cancro uccide. Abbastanza raro, ad esempio, è il caso in cui il tumore primario cresca così tanto da rivelarsi fatale di per se stesso, anche se un tale esito è certamente possibile nei casi, ad esempio, di un cancro al colon ostruente. Ma molto più spesso, la causa della morte è il decadimento complessivo della fisiologia del paziente, le specifiche vulnerabilità dell’immunodepressione, che sia intrinseca o iatrogena». Il che ci porta alla «coscienza preoccupata» dell’oncologo in servizio nell’America profonda che fa notare come «è possibile oggi un picco bimodale di pazienti oncologici che moriranno: da un lato l’imminente picco di coloro che, a causa di un sistema immunitario decimato, periranno a causa del Covid-19; dall’altro, il conto latente di coloro che hanno visto i propri trattamenti diminuiti, ritardati o persino cancellati. Sopravvivere al SARS-CoV-2 per morire di un cancro curato non al meglio sarebbe una vittoria di Pirro: e l’acutezza dell’infezione da un lato e la cronicità del male dall’altro sono le Scilla e Cariddi fra le quali gli oncologi e i loro pazienti devono oggi disegnare un sentiero assai pericoloso»; fra l’altro, «dover prendere in considerazione le infezioni non è una nuova preoccupazione per un oncologo medico quando deve porre quel delicato equilibrio fra diversi mali».
L’oncologia, come e più di altre branche della medicina, tende ad avere una struttura di rischi che lo specialista sa tenere sempre presente: «Provo spesso a dimostrare ai miei pazienti che vale la pena sopportare i ben noti effetti collaterali della chemio, visto che presentano un tasso rischi-benefici che spero non sarà eccessivamente inaccettabile. E quando prescrivo farmaci citotossici mi porto in testa un database di percentuali – una probabilità del 37% di neutropenia con un certo regime combinatorio contro una percentuale solo del 13% se viene rilasciato un solo agente». Probabilità, calcoli, assistenza medica ed etica che rischiano però di essere significativamente compromessi dal perdurante stato epidemico: «Il ciclo di un paziente sotto chemio potrebbe essere visto come un brutto ottovolante; si cade negli effetti tossici, si risale pian piano fino alla linea di base, e poi un’altra caduta precipitosa. Osservo il pattern di ogni paziente man mano che procede e cerco di dare i consigli giusti. Ma il Covid-19 peggiorerà la situazione portandola a livelli davvero incommensurabili? Solo il tempo ce lo dirà».
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