Dopo il caso dell’imprenditore in Veneto che ha rifiutato le cure, si parla di Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) per chi rifiuta di seguire le regole dopo il tampone positivo. Il ministero della Salute vaglia le possibilità
Negli ultimi giorni si è ritornati a parlare di Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO). Il ministro della Salute, Roberto Speranza, lo ha proposto per far fronte a coloro che, positivi al Covid-19, rifiutano di adottare le misure necessarie per sé stessi e la comunità. Una necessità che si è manifestata dopo il caso di un imprenditore di Vicenza. L’uomo, che ha contratto il virus nei Balcani, sapeva di essere positivo ma ha continuato a uscire e vedere persone. Ha persino partecipato a un funerale e una festa di compleanno, contagiando cinque persone e causando l’isolamento di quasi un centinaio. Ricoverato in condizioni medio-gravi, in un primo momento ha rifiutato le cure.
Il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha quindi trovato nel TSO la possibile risposta per il ricovero coatto dei pazienti più gravi affetti da Sars-CoV-2 che rifiutano di seguire i protocolli. Zaia ha inoltre annunciato misure più stringenti e severe dopo i più recenti focolai in quella che è stata una delle regioni più colpite. Dal ministero è arrivato un segnale di ascolto, con Speranza che ha annunciato di stare valutando una norma ad hoc, pensata per il Covid, che però non violi la libertà personale.
Per ora in Italia, salvo alcune eccezioni, il TSO si verifica solo in ambito psichiatrico. Si tratta di cure mediche imposte a un soggetto che le rifiuta. Per essere previsto servono almeno tre previe condizioni: la necessità di cure, il rifiuto da parte del paziente e l’impossibilità di effettuare trattamenti fuori dall’ospedale. Quando si verifichi, quindi, una situazione di pericolo per sé e per gli altri causata dall’incapacità di comprendere la stessa del paziente.
A disporre il TSO è il sindaco della città di riferimento per il paziente, che può farlo solo dopo che un medico – anche quello di famiglia – abbia certificato l’esistenza delle tre condizioni e un secondo medico appartenente al servizio pubblico le abbia confermate. Dopo la disposizione, vigili e sanitari vanno a prelevare il paziente. Se non accetta di andare in ospedale, viene prelevato con la forza. Il sindaco ha poi l’obbligo di inviare l’ordinanza al Giudice Tutelare, che ha facoltà di annullare il provvedimento.
La normale durata di un TSO è di 7 giorni. Se lo psichiatra non ne chiede il prolungamento decade. Se invece il medico sceglie di prolungarlo, il paziente sarà obbligato fino al periodo stabilito. Alla conclusione, però, potrà liberamente lasciare la struttura sanitaria senza alcun tipo di vincolo.
Il TSO andrebbe ad aggiungersi a una serie di misure pensate per limitare i nuovi focolai in Italia. Tra queste, i tamponi in aeroporto per chi arriva da Stati extra Schengen sono stati la prima risposta pensata per bloccare i “contagi di ritorno”. Poi la possibilità di trasferire i malati in alberghi sanitari. Una soluzione che la regione Toscana ha già adottato: si procede a trasferire in strutture adibite i positivi che non hanno possibilità di isolarsi dalle famiglie. In modo da non creare quei mini-focolai in famiglia che sono la prima ragione dell’allargamento del contagio. Come è successo in questi giorni nel Lazio, dove Luca Zingaretti ha scelto di rendere obbligatorio il vaccino anti-influenzale per gli over 65.
Il Codacons si è detto favorevole alla proposta Zaia. «Chi è malato deve essere costretto con ogni mezzo a non contagiare altre persone. Questa sembra l’unica strada percorribile – ha detto Carlo Rienzi, il presidente -. La salute della collettività è un interesse primario tutelato dal nostro ordinamento».
Così anche Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Virologia dell’Università di Padova. «Se una persona è positiva al coronavirus penso che debba essere messa in condizione di non trasmettere – ha detto su Sky Tg 24 -. Se non lo fa spontaneamente, penso che il TSO si renda necessario perché se qualcuno rifiuta le cure non deve mettere a rischio la salute degli altri».
Anche per Stefano Vella, docente di salute globale alla Cattolica di Roma, si tratta di una «misura prevista dalle leggi sanitarie per motivi di sanità pubblica e anche personale».
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SANITÀ INFORMAZIONE PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO