Nel Rapporto “Il valore della cura e dell’assistenza nell’emofilia”, le problematiche legate alla patologia e il ruolo chiave della Value Based Health Care (VBHC)
«Delle oltre 7.000 malattie rare note a malapena il 10% ha una terapia specifica. Quando una terapia arriva o è in avanzata fase di sperimentazione, a cambiare in meglio non è solo l’aspetto terapeutico: la rivoluzione per i pazienti va ben oltre. È a partire da quel momento che aumenta la conoscenza della patologia nella classe medica e nell’opinione pubblica, il processo di diagnosi – anche se spesso sempre deficitario – si velocizza, nascono servizi, migliora l’approccio multidisciplinare e a volte si giunge anche alla codificazione di PDTA, una garanzia di corretta presa in carico». Lo ricorda Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttore dell’Osservatorio Malattie Rare, durante la presentazione del Rapporto “Il valore della cura e dell’assistenza nell’emofilia”.
«Il merito – prosegue – di questo va in larga parte agli investimenti che le aziende farmaceutiche fanno, parallelamente al processo di ricerca, sull’awareness e sui servizi. Sono sforzi che vanno ad aumentare il valore stesso della terapia e questo approccio, ‘Value Based Health Care’, costituisce un supporto importante all’intero sistema sanitario. Un aspetto che noi di Osservatorio Malattie Rare verifichiamo ormai da 10 anni e per questo abbiamo pensato che fosse importante metterlo nero su bianco partendo da alcuni casi studio, prendendo una patologia come riferimento e allo stesso tempo andando a valutare le iniziative diverse dalla ricerca messe in campo da una azienda: abbiamo cominciato dall’emofilia e dall’impegno di CSL Behring». Alla discussione hanno partecipato anche i protagonisti che hanno contribuito alla stesura del rapporto, frutto di mesi di lavoro: clinici, farmacisti ospedalieri, economisti, rappresentanti delle associazioni di pazienti e dell’azienda farmaceutica stessa.
Dalla gestione dell’emergenza all’accoglienza in Pronto soccorso, dalla diagnosi al processo di cura fino al trattamento delle complicanze. Sono tante le questioni affrontate nel rapporto, perché oggetto di progetti specifici e voluti dall’azienda nel corso degli anni e volti a migliorare gli aspetti problematici.
Si tratta di esempi concreti di come il sistema salute si stia avvicinando sempre più a un modello di nuove tecnologie sanitarie che segue l’approccio orientato alla Value Based Health Care (VBHC), l’assistenza fondata sul valore. Di tale modello è stato analizzato sia l’impatto economico sia la capacità di produrre benefici non solo ai pazienti, ma anche all’operato dei clinici e a tutto il sistema sanitario, che ha potuto integrare questi progetti nella costruzione di più efficaci ed efficienti percorsi clinici.
A confermare questo approccio che va sempre più diffondendosi è stata anche la senatrice Paola Binetti, presidente intergruppo parlamentare per le Malattie Rare – XII Commissione Senato della Repubblica Igiene e Sanità, che da tantissimi anni segue l’evoluzione del mondo della rarità. «Nell’ambito delle malattie rare il concetto di Alleanza è ampio: non riguarda solo clinici e istituzioni, ma anche pazienti e aziende farmaceutiche – ha detto la senatrice durante l’evento online – Queste ultime, in particolar modo, hanno obiettivi che coincidono perfettamente con le richieste dei malati per quanto riguarda i farmaci orfani, e cioè dare risposte ai bisogni nelle patologie in cui i bisogni non soddisfatti sono spesso il 100% delle esigenze. Ecco, allora, che nel mondo ‘raro’ l’azienda diventa un partner per il Servizio Sanitario Nazionale e non più un mero fornitore».
Il Rapporto presentato oggi vuole essere un contributo ad una maggiore consapevolezza della sfida posta dall’emofilia in termini di nuove opportunità terapeutiche e di formazione del paziente. L’esempio di CSL Behring, caso studio analizzato nel Rapporto, dimostra che le aziende farmaceutiche non hanno solo il compito di fornire un farmaco efficace ai pazienti, ma sono in grado di fare la differenza anche tramite il supporto o l’attivazione di progetti che possono portare valore a tutte le figure coinvolte nella cura dell’emofilia. Le esperienze raccontate nel documento costituiscono un fondamentale tassello per il processo di cambiamento verso la VBHC, utile per ridurre i costi sanitari e garantire qualità e innovazione per i pazienti, e rappresentano un modello che potrebbe essere preso come esempio per tante altre patologie rare o anche non rare.
«I programmi delle aziende farmaceutiche basati sulla Value Based Health Care, e quindi sull’assistenza fondata sul valore, sviluppati e coordinati in sinergia con il sistema sanitario possono essere sicuramente utili allo sviluppo di percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali, i cosiddetti PTDA – ha confermato Giuseppe Limongelli, Coordinamento Malattie Rare, Regione Campania – Percorsi che possono essere adattati alle esigenze delle singole Regioni e attuati attraverso la creazione di unità specifiche di malattie rare a seconda delle competenze dei vari centri».
«Il supporto delle aziende può essere utile laddove intervenga per soddisfare quei bisogni che il Ssn non riesce ancora a garantire. «L’augurio è che le istituzioni prendano atto, alla luce anche di quanto la recente emergenza Covid-19 ha reso evidente, delle peculiari fragilità di persone che convivono con una patologia pregressa e cronica, come nel caso degli emofilici e che si impegnino a dare risposte ai bisogni dei pazienti che rimangono ancor oggi insoddisfatti, adoperandosi al meglio per attivare servizi concreti a salvaguardia del diritto alla salute di tutti i cittadini, a partire da quelli più deboli ed esposti», ha dichiarato Cristina Cassone, Presidente di FedEmo, Federazione delle Associazioni Emofilici.
È necessario insistere anche sull’empowerment del paziente, cioè sulla conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte e azioni attraverso un percorso di formazione. Un’esigenza sostenuta altresì dalla Fondazione Paracelso, che promuove progetti di ricerca scientifica e interventi sociali al fine di migliorare l’assistenza alle persone con emofilia.
«Un sostegno formativo può certamente migliorare la capacità di affrontare al meglio la propria situazione – ha affermato Andrea Buzzi, Presidente Fondazione Paracelso – Scopo dell’educazione terapeutica, in effetti, è quello di assicurare al paziente un’informazione adeguata, così che possa curarsi al meglio delle possibilità offerte dalla medicina rispetto ai suoi bisogni e alle sue condizioni in vista di una convivenza quanto più possibile armonica con la malattia. Riteniamo che migliorare la conoscenza dell’emofilia possa contribuire a facilitare la ricerca di un rapporto equilibrato con essa, favorendo il pieno inserimento della persona e della sua famiglia nel corpo sociale secondo i desideri e le aspettative».
Diversi sono i progetti specifici attivati dall’azienda che sono stati analizzati quali esempio di attività volte a migliorare la qualità di vita dei pazienti e il funzionamento dell’intero sistema. Uno di questi è il progetto PK@Home, il servizio di assistenza domiciliare attivato nel 2017 e realizzato da CSL Behring con l’obiettivo di aiutare i Centri Emofilia a sostenere il carico terapeutico venendo al contempo incontro alla necessità delle persone di conciliare terapie e vita privata.
Cristina Santoro, Servizio di Diagnosi Speciale e Terapia dell’Emostasi e della Trombosi della U.O.C di Ematologia Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Umberto I, Roma, ha spiegato: «Il programma permette ai pazienti di effettuare l’analisi farmacocinetica a domicilio, diminuendo così gli accessi ai centri. Al contempo offre ai centri risorse dedicate ai fini dell’addestramento infermieristico, garantendo elevati standard qualitativi e di sicurezza grazie al personale altamente qualificato. Altro fronte su cui lavorare è la raccolta dei dati sulla esperienza di “real life”. Infatti, gli studi clinici vengono condotti su un numero limitato di pazienti molto selezionati per caratteristiche cliniche. È essenziale, allora, che un’azienda farmaceutica promuova raccolte dati di “real world” che riflettano ciò che accade nella pratica clinica; nel caso del rVIII-Single Chain ciò è stato realizzato con il progetto di interviste a medici e pazienti».
Un altro dei progetti esaminati a titolo di esempio è più recente ed è stato sviluppato con l’emergenza Covid-19, periodo in cui i pazienti emofilici hanno dovuto limitare gli accessi in ospedale per evitare il rischio di contagio. Per questo CSL Behring ha lanciato Factors@Home, un servizio di consegna a domicilio dei medicinali per l’emofilia attivo su tutto il territorio nazionale fino al 30 settembre 2020.
«La prestazione non prevede alcun onere economico per il paziente né per la struttura sanitaria – ha sottolineato Oliver Schmitt, Amministratore Delegato di CSL Behring Italia – Factors@Home vuole garantire la continuità terapeutica con i medicinali salvavita e, allo stesso tempo, ridurre il numero di accessi ai presidi farmaceutici contribuendo al rispetto dei programmi di tutela della salute previsti dalle istituzioni. La pandemia, è ormai chiaro, ha messo ancora più in evidenza la necessità di questo approccio olistico da parte dell’azienda e il ruolo che essa può avere nella generazione di valore per il paziente e per il sistema sanitario».
L’emofilia è una malattia rara di origine genetica dovuta a un difetto nella coagulazione del sangue. I geni che codificano la sintesi dei fattori della coagulazione VIII e IX sono situati sul cromosoma X: la malattia, dunque, colpisce soprattutto i maschi, mentre le donne possono essere portatrici sane. È estremamente raro che una donna sia colpita da emofilia. Si distinguono due forme di emofilia: la A, in cui manca il fattore VIII ed è quella più frequente (l’80% dei casi), e la B, in cui manca il fattore IX.
I sintomi sono praticamente identici nei due casi e consistono in emorragie più o meno gravi a seguito di traumi, ferite, operazioni chirurgiche oppure emorragie spontanee. Le principali complicanze dell’emofilia sono gli emartri, sanguinamenti che avvengono all’interno delle articolazioni e che, se non trattati in modo adeguato, possono portare ad artropatia cronica e disabilità. In Italia, secondo i dati del 2017 raccolti nel Registro nazionale delle Coagulopatie Congenite dell’Istituto Superiore di Sanità, sono 10.627 le persone con malattie emorragiche congenite: di queste, 4.179 sono affette da emofilia A e 898 da emofilia B.
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