Il professionista sanitario: «Il terapista occupazionale di comunità agisce in una prima fase a casa, poi anche a scuola, a lavoro e nell’ambiente sociale, a seconda dell’età del paziente e delle sue abitudini di vita».
«Le dimissione dall’ospedale, in molti casi, non sono un punto di arrivo, ma solo un punto di partenza». A dirlo è Christian Parone, consigliere del direttivo AITO, l’associazione italiana terapisti occupazionali. Quando una malattia è cronica e invalidante il ritorno a casa coincide con l’inizio di una nuova fase delle vita, fatta di difficoltà quotidiane e abilità da riconquistare per poter raggiungere un’ autonomia, seppur parziale.
«Un’indipendenza – spiega il terapista occupazionale – che non si esaurisce tra le mura domestiche, ma che deve coinvolgere a 360 gradi la vita di un individuo. È per questo che crediamo che il terapista occupazionale di comunità possa essere una figura adeguata a svolgere queste mansioni. Un professionista che faccia da raccordo tra un individuo che si trova a sperimentare le complicazioni derivanti da una disabilità appena acquisita e la comunità dove ha sempre vissuto prima della malattia e dove deve ritornare a vivere la sua quotidianità».
Pensiamo ad esempio ad una persona che a causa di un ictus ha perduto l’uso di un lato del corpo o a chi, vittima di un incidente, sia costretto su una sedia a rotelle. Qualunque sia il trauma subito e qualunque sia l’invalidità conseguente è necessario che questi soggetti riescano pian piano a ritornare alla vita di tutti i giorni conquistando la massima autonomia che il loro stato di salute gli consente. «Già nel percorso della riabilitazione in struttura – dice Parone – cerchiamo di coinvolgere la famiglia, i caregiver e le persone che ruotano attorno al paziente. Finita la degenza in struttura, poi, l’individuo deve ritornare a vivere nel suo territorio, a rapportarsi con la comunità».
«Ed è questo punto che il terapista occupazionale potrebbe fungere da facilitatore. Agendo in una prima fase a casa, ma poi anche a scuola, a lavoro e nell’ambiente sociale, a seconda dell’età del paziente e delle sue abitudini di vita. Nel contesto professionale, ad esempio, il terapista occupazionale aiuta le persone a ritornare al proprio impiego precedente, modificandolo a seconda delle mutate condizioni di salute e delle differenze di performance, identificando i loro obiettivi e le eventuali barriere sociali, organizzative, personali e ambientali che potrebbero impedirlo. Ha il fine di mantenere un ruolo sociale, produttivo e gratificante per la persona. Compito del terapista occupazionale è anche ridurre lo stigma che si ha verso le persone che hanno contratto la malattia».
UN AIUTO PER TUTTA LA COMUNITA’
È necessario creare situazioni che permettano alla persona di utilizzare gli ausili prescritti anche fuori di casa. «Il terapista occupazionale – continua il professionista – guida il paziente all’esterno della sua abitazione: mentre passeggia al parco, fa la spesa o si prende cura del proprio giardino. Ha il compito di testare la reazione alle luci, ai suoni, alla moltitudine di stimoli ambientali, creare una routine che prevenga le conseguenze dell’inattività e della paura di cadere o di svolgere attività in maniera differente da come si svolgevano “prima”.
Tutto ciò può concorrere al miglioramento del tono dell’umore e al più veloce reinserimento di queste persone nel tessuto sociale e familiare. Il terapista occupazionale di comunità può anche proporsi di organizzare azioni di consulenza e di sostegno per i familiari dei malati e dei bambini e ragazzi che sono costretti a modificare le proprie abitudini». Prevede interventi che diano benefici anche a lungo termine: «I programmi di terapia occupazionale possono alleviare alcuni dei problemi di isolamento, deprivazione sensoriale e occupazionale e l’inattività cognitiva, che sono rischi per il benessere futuro», aggiunge Parone.
Il terapista occupazionale è, dunque, un professionista dalle mansioni più varie sempre più ricercato: «Le Regioni – dice il professionista – hanno aumentato la richiesta di terapisti occupazionali, incrementando il numero del fabbisogno formativo richiesto. I posti messi a bando dalle università, che non coprono la richiesta, sono il massimo del loro potenziale formativo. La professione, seppur lentamente, sta ottenendo il riconoscimento nei team nei vari ambiti. Per questo c’è bisogno di persone che la sostengano e la rappresentino».
«A breve vi sarà il rinnovo delle cariche associative e le elezioni della commissione d’albo nazionale, come da decreto di recente pubblicazione, oltreché il rinnovo di consigli direttivi di molti ordini territoriali. Il nostro augurio è che i colleghi siano motivati per raccogliere la sfida che la rappresentatività presenta e vogliano mettersi in gioco per portare avanti la professione. Per la sua crescita ma anche per il benessere della comunità, poiché – conclude Parone – lo sviluppo della nostra professione può avvenire solo tramite la partecipazione attiva».
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