Salute 23 Luglio 2020 16:02

Coronavirus, rivelata la “doppia faccia” del testosterone che aumenta i rischi negli uomini

Edoardo Guastamacchia, presidente di AME: «A livelli normali l’ormone aumenta rischio infezione, a livelli bassi incrementa il rischio complicanze e morte»

Coronavirus, rivelata la “doppia faccia” del testosterone che aumenta i rischi negli uomini

Dietro il maggior rischio degli uomini di contrarre e di sviluppare forme gravi e letali di Covid-19 si cela il ruolo ambiguo giocato dal testosterone. A livelli normali o superiori l’ormone aumenta il rischio di infezione, a livelli bassi nei pazienti già infetti aumenta il rischio complicanze e morte. A rivelare la “doppia faccia” del testosterone è stato uno studio condotto da ricercatori dell’Associazione Medici Endocrinologi (AME), in collaborazione con l’Università di Bari. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Andrology.

I primi dati riguardanti la prevalenza delle infezioni Covid-19 suggeriscono che gli uomini, soprattutto quelli anziani con numerose patologie croniche, presentano una prognosi peggiore e muoiono più frequentemente. Tra le ipotesi più accreditate all’interno della comunità scientifica per spiegare questo eccesso di morbilità e mortalità negli uomini c’è quella secondo cui il testosterone svolgerebbe un ruolo determinante. In una revisione sistematica dei dati della letteratura, Vito Angelo Giagulli, primo autore dello studio e membro del Comitato Scientifico AME, insieme a Edoardo Guastamacchia, presidente AME, e Vincenzo Triggiani, segretario AME, ipotizza che da un lato il testosterone può avere un ruolo chiave nel facilitare la diffusione dell’infezione negli uomini, dall’altro lato i ridotti livelli dell’androgeno, come si verifica nell’anziano o in quei maschi affetti da malattie croniche metaboliche (es. obesità) e non, innescano un peggioramento della prognosi per l’infezione da Covid-19, aumentando il rischio morte.

Secondo i ricercatori dell’AME, due sono i principali meccanismi fisiopatologici legati ai livelli circolanti dell’androgeno come possibile causa di questo importante gap tra i due sessi. «È accettato – spiega Guastamacchia – che il nuovo coronavirus possa entrare nelle cellule ospiti (e così infettare la persona) tramite l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2), grazie all’azione di una proteasi transmembrana serina 2 (TMPRSS2) che lega la proteina “Spike” del coronavirus. Gli androgeni e, in particolare, il testosterone possono co-regolare l’espressione dell’ACE2 e soprattutto di TMPRSS2». Questi enzimi sono presenti nelle cellule del testicolo sia in quelle che regolano la spermatogenesi (cellule di Sertoli) che in quelle che secernono il testosterone (cellule di Leydig). «Pertanto, si può ipotizzare che un deficit severo di testosterone si verifica in corso di infezione da nuovo coronavirus», sottolinea Giagulli. Questa prima ipotesi è stata recentemente confermata da un lavoro di studiosi italiani (Rastrelli et al Andrology, 2020) in corso di pubblicazione che documenta una condizione di ridotti livelli di testosterone (ipogonadismo conclamato) in quei maschi affetti da Covid-19 con prognosi più grave e che richiedono cure in terapie intensive.

«Al contrario, i bassi livelli plasmatici di testosterone che spesso si riscontrano negli anziani affetti da malattie croniche metaboliche (obesità, diabete, ipertensione, ecc. ecc.) e non, possono predisporre alla disfunzione endoteliale, alla trombosi e alla risposta immunitaria difettosa, portando sia alla riduzione della clearance virale che all’aumento dell’infiammazione sistemica e rischio di fallimento multiorgano con possibile decesso», sottolinea Guastamacchia. In particolare, dallo studio è emerso che i maschi obesi possono avere un grave deficit di testosterone (ipogonadismo funzionale) e quelli affetti da Covid-19, quindi, possono avere conseguenze respiratorie e sistemiche gravi con prognosi severe. «Attualmente sono in corso numerosi studi che mirano a verificare queste ipotesi fisiopatologiche anche al fine di identificare prontamente adeguate strategie terapeutiche», conclude Guastamacchia.

 

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