Su Elsevier Public Health, una lettera aperta sull’Health Impact Assessment a firma di un team di studiosi piemontesi, tra cui l’ex presidente del Consiglio Superiore di Sanità. Fra i casi presentati, Tav e Ilva
Fra i ben noti obiettivi dello sviluppo sostenibile posti per il 2030 dalle Nazioni Unite trova un posto di rilievo la questione ambientale. In particolare, l’azione 3.9 chiede agli Stati di adoperarsi per «ridurre in maniera sostanziale il numero di morti e di malattie da agenti chimici rischiosi e da agenti inquinanti l’aria, l’acqua e i suoli».
Per affrontare e raggiungere questo obiettivo non bastano attente politiche ambientali e buone pratiche, che pure in Italia sono presenti; è necessario iniziare ad inserire il tema ambientale nell’ambito della più ampia tematica della salute. Questo è quanto asserisce una lettera pubblicata sul numero di agosto di Elsevier Public Health, una delle principali riviste specializzate di sanità pubblica. A firmarla, diversi esperti di stanza a Torino, fra cui la professoressa Roberta Siliquini, già presidente del Consiglio Superiore di Sanità e oggi in forza al dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica all’Università di Torino. «Le valutazioni di impatto ambientale – spiega la Siliquini contattata al telefono da Sanità Informazione – non possono non essere parte di un più complessivo discorso sulla salute».
Quel che si propone nel paper è allora una nuova metodologia di azione pubblica, già ampiamente presente negli schemi dei Paesi nord europei; si tratta, ed è il titolo dell’articolo, dell’Health Impact Assessment (HIA). «Parliamo di una serie di strumenti per valutare l’impatto delle politiche pubbliche e in generale delle scelte sulla salute dei cittadini».
«Prendiamo un caso eclatante, prendiamo il caso Ilva – continua la professoressa -. Prima di prendere qualunque decisione avremmo dovuto valutare l’impatto degli agenti inquinanti e cancerogeni, ma anche e allo stesso tempo gli effetti sulla salute dell’eventuale perdita di posti di lavoro, di reddito e di potere d’acquisto. Tutti questi indicatori sono utili ai decisori per capire cosa sia necessario fare».
A mancare allora, continua Siliquini, è la cultura del dato: «In Italia non esiste un’agenzia nazionale per la valutazione delle politiche in termini di salute. Non esistono linee guida regionali condivise, usiamo poco i dati, li raccogliamo male e non abbiamo attivato le procedure che sarebbero necessarie. Evidente che serva allora un investimento serio su infrastrutture di data mining e su reti digitali che siano, direi, da Paese normale».
L’Health Impact Assessment deve diventare «una prassi affermata, dobbiamo ricordarci che ogni elemento, ogni decisione può avere un impatto sulla salute dei cittadini. Ecco che qualunque decisione deve essere allora supportata da dati specifici che devono essere forniti al decisore pubblico, che poi si prenderà la responsabilità di emettere atti, norme e provvedimenti che potranno anche ovviamente superare il piano tecnico scientifico, ma in fase di decisione non possono non essere tenuti in considerazione».
«Nel nostro studio – continua la docente piemontese – facciamo gli esempi del caso Ilva e del caso Tav in val di Susa, ma sono solo esempi mediaticamente molto noti. Qualunque piccola decisione, anche locale, avrebbe bisogno di un approccio HIA».
«Un approccio HIA si inserisce positivamente – si legge ancora nel documento pubblicato da Elsevier – in contesti in cui il dibattito pubblico su gestione ambientale, percezione del rischio, ecologia politica e la mobilitazione delle comunità locali si intreccia e va a combinarsi. Tutto considerato – conclude la lettera – l’istituzione di una linea guida nazionale su HIA in Italia risulta più che mai necessaria. Il governo deve attivarsi per l’attuazione e l’implementazione di una legislazione specifica, il sostegno delle competenze, il coordinamento intersettoriale e la dotazione di budget adeguati».
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