Al Centro Auxologico San Luca di Milano uno staff multidisciplinare guidato dal professor Brignole indaga le cause e definisce la terapia
Al mare o in città, il gran caldo estivo spesso è causa di svenimenti improvvisi e cadute. Si valuta che almeno una persona su due nella vita abbia sperimentato una sincope (breve mancanza di ossigeno al cervello), mentre oltre il 30% degli over 65 sia finito a terra per ragioni non imputabili a un terreno bagnato o ad uno scalino mancato. Per questo è necessario individuare la causa responsabile degli svenimenti e delle cadute al fine di iniziare una terapia specifica efficace.
«Spesso ci sono delle avvisaglie. Queste però non sono percepite dal paziente che occasionalmente ha uno svenimento», ci introduce nell’argomento il professor Michele Brignole che dirige il Centro svenimenti e cadute di Auxologico presso l’Ospedale San Luca di Milano.
«Chi invece è soggetto più di frequente a svenimenti o cadute impara col tempo a riconoscerle. Possono durare da pochi secondi fino ad un minuto o due e sono preziosissimi, perché se il paziente realizza che questi sintomi predicono uno svenimento imminente può agire tempestivamente, prendendo le giuste precauzioni».
«La più importante è coricarsi – spiega il primario -, perché mettersi orizzontale evita un trauma e di perdere completamente conoscenza. Mi rendo conto che molte volte non è possibile se ci si trova in un contesto sociale come per strada, in un supermercato o in un negozio; allora ci sono manovre fisiche che permettono di alzare la pressione in maniera efficace per il tempo necessario a dare al soggetto in difficoltà la possibilità di sedersi o coricarsi. Queste manovre rappresentano uno dei punti di forza del programma del Centro».
Coloro che hanno di costituzione la pressione bassa o prendono farmaci ipertensivi che la abbassa rappresentano i soggetti più a rischio, che non devono mancare l’appuntamento con il team guidato dal professor Brignole all’interno dell’unità operativa di Cardiologia dell’Ospedale San Luca di Milano.
«La parola magica è proprio presa in carico – prosegue il primario del Centro svenimenti -, ovvero il paziente segue un percorso che va dalla diagnosi e prima visita, dagli esami necessari per individuare il problema, fino alla verifica della terapia e al follow up».
«Questa è la procedura vincente – ribadisce Brignole -, perché svenimenti e cadute non sono malattie, ma sono sintomi che appartengono a tante malattie diverse. Per questo è fondamentale una squadra multidisciplinare, dove il paziente possa arrivare ad una conclusione, attraverso una figura di riferimento in grado di fare la sintesi».
«Questo è lo scopo del Centro svenimenti e cadute: avere specialisti in grado di giungere ad una diagnosi e alla terapia. Se sono aritmie le curiamo; se sono cadute dovute a problemi di turba dell’equilibrio o a pressione bassa, curiamo l’origine del problema; se sono sincopi riflesse diamo una terapia personalizzata per alzare la pressione ed impedire il rallentamento del ritmo cardiaco».
«Per fare questo – continua il medico – sono fondamentali alcuni test come quello del lettino inclinato, che consiste nel tenere il paziente in una posizione a 60 gradi per circa 45 minuti e si riproduce in laboratorio la sincope spontanea. Altri test importanti sono il monitoraggio della pressione che viene fatto con l’holter pressorio e il monitoraggio elettrocardiografico prolungato che può essere fatto non invasivo oppure con l’impianto loop recorder impiantabile. Questi sono indispensabili, ma non unici. Occorre fare poi un’altra serie di esami che solo un centro sincope localizzato in una struttura ospedaliera generale può fare».
Elemento chiave è la multidisciplinarietà dei professionisti in grado di riconoscere attraverso i diversi esami i segnali che possono portare a svenimenti e cadute e anticipare le eventuali recidive che possono presentarsi anche a distanza di tempo, specie nelle persone anziane.
«Il percorso tipico è una prima visita – riprende il professore – in cui si cerca di individuare il problema. Poi si prescrivono gli accertamenti necessari che possono essere uno, due o tre esami. Quindi, una seconda visita conclusiva. Se non è sufficiente, si prescrive una seconda serie di esami e una terza visita. Infine si individua la terapia e si conclude il percorso con il follow up. Non sempre la prima scelta è quella vincente, allora se c’è da cambiare la terapia si interviene anche successivamente. Noi non lasciamo il paziente solo, lo curiamo finché il problema non è risolto», conclude il professor Brignole.
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