Degani (UNEBA): «I contagiati sono più giovani perché si fanno tamponi a chi rientra dalle vacanze, ma attenzione alla popolazione anziana, che resta la più fragile»
Durante la pandemia sono stati tra i luoghi più colpiti, con migliaia di contagi e decessi. Oggi le RSA, ancora in ginocchio per effetto dello tsunami Covid, temono un autunno caldo, e chiedono alle istituzioni screening a tappeto e linee guida per la gestione della popolazione anziana ospite nelle strutture. A confermarlo ai nostri microfoni è l’avvocato Luca Degani, presidente di UNEBA (Unione Nazionale Istituzioni E Iniziative Di Assistenza Sociale).
«Siamo in una situazione in cui il mondo delle RSA ha oggettivamente una grande preoccupazione da un punto di vista economico, perché non siamo ancora riusciti a rientrare dalla crisi che ha colpito l’attività per la chiusura di molte strutture costrette al mantenimento di ospiti inappropriati; e al tempo stesso paura di ripiombare nella situazione di emergenza da Covid da cui ancora molte RSA non si sono riprese». Esordisce con toni decisi l’avvocato, che sta cercando di ricostruire un settore fortemente compromesso, mentre osserva i numeri dei contagi crescere di giorno in giorno con il timore che tutto possa precipitare da un giorno all’altro.
«Oggi c’è la preoccupazione per cosa è stato e per cosa sarà se dovesse esserci una nuova ondata di infezioni – prosegue Degani -, perché c’è la percezione che non sia stato fatto tutto fino in fondo e che non siano stati appresi nel modo corretto gli insegnamenti che ci hanno dato i primi mesi di pandemia. Noi abbiamo avuto la chiara percezione di un virus altamente infettivo su tutta la popolazione, al di là di qualsiasi età e patologia. Il virus però poi aveva una capacità quasi millimetrica di colpire letalmente soggetti anziani con più patologie, quindi in situazioni di immunodepressione. Questo aspetto non deve essere dimenticato, altrimenti si rischia di essere nuovamente travolti».
«Le RSA restano e sono il mondo di queste persone e tali devono restare – riprende Degani –. Quindi adesso devono essere al centro del sistema di tutela della salute, con una attenzione non solo economica, ma anche con un percorso di screening per gli ospiti e per il personale affinché qualsiasi evenienza che determini uno stato infettivo venga presa in carica immediatamente».
«Vorremmo avere la certezza, laddove ci fosse una seconda fase, che venissero garantiti da parte dell’autorità pubblica strumenti di protezione, percorsi di cure e prese in carico. Ad esempio, non abbiamo visto quasi in nessuna parte d’Italia un modello che garantisca un corretto rapporto tra azienda ospedaliera e mondo delle RSA, che faccia sì che gli specialisti possano entrare nelle RSA anche solo con le loro competenze attraverso il web per poter garantire un inizio di presa in carico clinica immediata. Facciamo un’azione di screening e di prevenzione, come ci è stato detto strada facendo. Questo probabilmente è un livello di coscienza e di tutela che un poco ancora manca».
Il presidente di UNEBA rivolge quindi un appello a Regione Lombardia affinché anticipi con un’azione preventiva e una organizzazione capillare il ritorno dirompente del virus: «È evidente che un sistema di tamponi da eseguire all’intera popolazione darebbe una percezione del virus diversa rispetto a quella che si sta facendo nei confronti di chi arriva dall’estero».
«Apparentemente oggi i tamponi ci dicono che si stanno infettando persone più giovani – analizza il presidente di UNEBA -; non possiamo dimenticare però che ci sono persone anziane o con pluri patologie che necessitano di essere nuovamente al centro dell’attenzione, questa volta a livello preventivo e non per vedere i danni che determina l’essere stati infettati. Si dovrebbe vedere qual è l’età dei decessi e magari ci si renderebbe conto, come è stato nella prima fase, che a morire sono gli anziani con comorbidità».
«Mi aspetto un procedimento che differenzi l’azione di screening sulla popolazione, che crei un rapporto costante tra realtà ospedaliere e mondo delle RSA. E soprattutto la certezza che questa volta i dispositivi di protezione individuale non siano carenti. Questo è un compito dello Stato, ma non nego che molte regioni hanno dato indicazioni al riguardo, come ha fatto la Lombardia che da questo punto di vista deve ancora lavorare. Lo dico senza polemica, ma oggi stiamo molto attenti ai numeri delle infezioni, meno all’interpretazione e stiamo pochissimo attenti a quello che ci hanno insegnato l’età dei decessi e il rapporto tra acuzie, cronicità e territorio».
«È importante la domiciliarità, e altrettanto che ci siano unità che operino direttamente sul territorio, per supportare eventuali situazioni infettive. Così come serve ricordare che questo servizio è fornito dal privato sociale, mentre vengono fatte normative che finanziano il sistema sanitario nazionale pubblico. Se non si possono finanziare questi soggetti, l’ampliamento di questa attività non si può realizzare – chiosa Degani -. Ecco, stiamo ragionando come se fossimo in un sistema tutto a erogazione pubblica quando è notorio che in Italia così non è. Spero che Regione Lombardia abbia nella sua visione di attivarsi direttamente, sperando sempre che garantisca anche un recupero dell’economia di queste realtà che altrimenti risulteranno indebolite davanti ad una eventuale seconda fase di contagio».