Presentato al Congresso FADOI il modello di day hospital per gli ex pazienti Covid già adottato da Liguria e Toscana, ma che potrebbe essere esteso al resto d’Italia
«Quelli che avevano altre patologie prima di contagiarsi in alcuni casi hanno visto peggiorare la loro situazione – raccontano i medici internisti ospedalieri toscani Fadoi -. Altri li vediamo arrivare da noi con una grande stanchezza, qualche difficoltà respiratoria e tanta paura che l’incubo ritorni. Soprattutto quando ad essere stati colpiti sono i più giovani. E l’altro comune denominatore è uno stato depressivo che sicuramente non aiuta a imboccare la strada di una completa guarigione». A tracciare il profilo dei “sopravvissuti al Covid” è la dottoressa Paola Gnerre, dirigente di primo livello alla medicina interna 2 dell’ospedale San Paolo di Savona dove, grazie anche all’apporto del direttore del dipartimento di medicina della asl 2 savonese, il dottor Rodolfo Tassara, è nato uno dei primi day hospital per ex pazienti Covid, totalmente gratuito.
Un progetto elaborato da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, che ha celebrato nei giorni scorsi a Roma il suo congresso in modalità mista, remoto/in presenza, all’interno del quale è stato presentato il modello di day hospital per i reduci del Covid già partito con delibere regionali in Liguria e Toscana e a macchia di leopardo in Lombardia, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. Con le altre regioni pronte a seguire l’esempio.
«Il nuovo modello di presa in carico dei pazienti – spiega la federazione in una nota – che passata l’infezione rischiano di subire danni cronici non solo ai polmoni, ma anche a cuore, reni e cervello. Una formula che potrà essere utilizzata non solo per i “reduci del Covid”, ma per aiutare a smaltire quegli 11 milioni di visite e accertamenti saltati durante il lockdown a discapito soprattutto dei malati cronici. L’idea è apparentemente semplice: istituire dei day hospital non solo terapeutici ma anche diagnostici, che grazie all’apporto multidisciplinare dei diversi specialisti medici consenta il follow up dei pazienti che sono passati per il Covid. Il tutto con esenzione dal ticket e seguendo la molto più snella lista di attesa intraospedaliera».
«Un modello non a caso messo a punto dai medici internisti della Fadoi, che lo hanno visto adottare per prima dalla asl 2 del savonese. Una indagine della stessa federazione – si legge – mostra infatti come proprio la medicina interna sia stata in prima fila nella gestione dell’emergenza, con il 70% dei ricoveri Covid nei propri reparti. Ed è l’esperienza maturata sul campo, insieme agli studi internazionali ad aver mostrato come i pazienti sopravvissuti al coronavirus continuassero ad avere problemi polmonari che diventano cronici nel 30% dei casi e danni permanenti estesi ad altri organi».
«Da qui il sistema di controllo multidisciplinare messo a punto dagli internisti – come spiega Paola Gnerre – in regime di day hospital ogni 3-6-12 e 24 mesi vengono rilevati i parametri vitali, come frequenza cardiaca e respiratoria, pressione arteriosa e livello di saturazione del sangue. Con la stessa frequenza il paziente viene sottoposto ad ECG e prove respiratorie per controllare lo stato di cuore e polmoni e ad analisi del sangue per verificare emocromo, funzionalità renale ed eventuali stati infiammatori con Pcr e Ves. I medesimi intervalli temporali intercorrono per verificare la massa grassa corporea, eseguire un “walking test” di 6 minuti per vedere come va il respiro con una camminata veloce e fare il punto sulla qualità della vita del paziente attraverso un questionario. E attraverso questo, spiega la dottoressa Gnerre – abbiamo già individuato un 30% di pazienti che necessita di una ulteriore valutazione psicologica. A uno e due anni di distanza sono poi previsti ecocardiogramma, emogasanalisi del sangue arterioso e, a giudizio medico, Tac al torace o angio-Tac».
«Uno schema – spiega sempre la Gnerre – che si richiama al progetto Ponte avviato nel 2012 a Savona per la presa in carico dei malati cronici con scompensi cardiaci, che soffrono anche di Bpco, diabete, cardiopatia ischemica e che richiedono un approccio multispecialistico come nel caso del Covid». I risultati in questo caso sono stati la riduzione del 15% dei ricoveri, associata a taglio dei tempi di attesa grazie anche alla maggiore appropriatezza degli accertamenti eseguiti. Per questo gli internisti vogliono ora esportare il modello su larga scala».
«L’esperienza maturata in questi mesi di emergenza – spiega Dario Manfellotto, presidente Fadoi – ha rimesso in discussione la vecchia organizzazione ospedaliera basata sulla divisione in dipartimenti, favorendo l’approccio multispecialistico. Rivelatosi oggi efficace per una malattia sistemica come Covid-19 ma che può esserlo altrettanto per fronteggiare quell’emergenza permanente che è la gestione delle malattie croniche e complesse».
I primi in Italia ad avviare la presa in carico degli ex-Covid sono stati però i medici internisti dell’ospedale di Magenta, nell’area metropolitana milanese. «Abbiamo iniziato a seguire gli ex ricoverati più gravi e ci siamo accorti che il 5% di loro riporta cicatrici polmonari, mentre chi ha avuto episodi trombotici guarisce senza particolari strascichi, che invece per tanti sono di natura psicologica» spiega Nicola Mumoli, primario di medicina interna dell’ospedale, dove gli ex positivi ricoverati in condizioni critiche vengono sottoposti a costante follow up pneumologico e vascolare.
«Anche in Toscana – spiega Massimo Alessandri, presidente Fadoi della regione – abbiamo avviato dei percorsi differenziati per la presa in carico degli ex ricoverati Covid, con diversi protocolli per chi aveva altre patologie pregresse e chi no. Nel primo caso in alcuni pazienti abbiamo riscontrato un peggioramento della condizione legata alla patologia pregressa. Ma occorrerà un maggior periodo di osservazione prima di poter tirare delle conclusioni».
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