«Un miliardo di euro, per garantire diritti sociali a chi ne è escluso, per garantire i livelli essenziali ovunque in Italia». Gli Assistenti Sociali scrivono alla ministra del Lavoro e della Politiche sociali,
Nunzia Catalfo, in vista della prossima legge di Bilancio affinchè «il prossimo
Piano Sociale Nazionale non finisca per essere un libro di buone intenzioni che rischiano di restare sulla carta».
Con una missiva che prende spunto dall’ormai prossimo ventennale della legge 328 che l’8 novembre del 2000 intendeva realizzare un sistema integrato di interventi e servizi sociali, i 44mila professionisti chiedono un «impegno forte e non più rimandabile».
«Le scrivo mentre le preoccupazioni che hanno bloccato il Paese per mesi, tornano a inquietare le nostre giornate. La crisi pandemica e le conseguenze sulla tenuta economica – scrive il presidente dell’Ordine, Gianmario Gazzi – hanno mostrato tutti i limiti di visione politica e gli errori di gestione che abbiamo commesso nei decenni passati nel campo della sanità, ma anche delle politiche sociali. Errori lontani e più vicini».
«E così – aggiunge – riaffiorano problemi già individuati e non valutati perché sommersi dall’euforia del pensare di aver trovato soluzioni a disagi vecchi come il mondo. Un miliardo, dunque, una “cifra ragionevole” che coprirebbe sia i servizi sociali di tutti gli ambiti con un assistente sociale ogni 3mila abitanti dovunque in Italia che l’aumento delle ore di assistenza a persone non autosufficienti e minorenni».
Il presidente Gazzi dopo aver sottolineato «il problema della precarietà che deriva dalla strutturazione a progetto di gran parte dei servizi e al turn over oramai ingestibile» insiste: «Nessuno strumento, nemmeno il Reddito di cittadinanza, potrà raggiungere i suoi obiettivi di contrasto alla povertà se assieme ai trasferimenti non ci sono servizi, comunità e reti sociali – spiega, perché – lo abbiamo detto molti mesi fa e torniamo a dirlo ora che i dati lo confermano: c’è una povertà che non deriva dalla mancanza di lavoro e aver pensato di risolvere la prima con il secondo è e resta un errore».