Contributi e Opinioni 26 Ottobre 2020 19:06

XXIII Congresso CReI (Collegio Reumatologi Italiani): «Handicap 0 è un obiettivo possibile»

Ci sono ancora troppi bisogni insoddisfatti dei malati reumatici. Angelo De Cata, Presidente CReI: «Solo lavorando in modo sinergico tra Società scientifiche, Associazioni Pazienti e Istituzioni possiamo arrivare a questo obiettivo, che è la mission del Collegio Reumatologi Italiani»

«Abbiamo un problema che si è amplificato durante l’emergenza pandemica: i bisogni dei malati reumatici sono ancora troppi e insoddisfatti da troppo. Va invertita la rotta – spiegano i reumatologi italiani – e vanno ascoltati i bisogni di tutti i pazienti cronici. Non si può prendere in considerazione solo la problematica Covid, compromettendo ulteriormente la qualità di vita di chi è affetto da una malattia (e dei loro caregiver) reumatologica, con cui dovrà fare i conti a vita».

«Sono più di 5,5 milioni gli italiani che soffrono di una patologia reumatica, cronica e molto spesso invalidante – continuano – alcuni dati stimano che ci conviva il 10-15% della popolazione». «Handicap 0, che è l’obiettivo principe della nostra società scientifica possiamo raggiungerlo, anzi dobbiamo raggiungerlo, ma a questo traguardo ci si può arrivare solo se insieme muoviamo passi nella stessa direzione, con il fine di offrire ai pazienti una migliore qualità di vita» sottolinea Angelo De Cata, Presidente CReI (Collegio Reumatologi Italiani).

«Sono ancora tante, infatti, le differenze territoriali e questo non fa altro che aggravare i problemi e rendere più complicato il lavoro di tutti. Un esempio? Non tutti gli specialisti reumatologi territoriali hanno la possibilità di prescrivere farmaci biologici, che sono stati una grande innovazione terapeutica per affrontare le malattie reumatiche, non tutti i medici di medicina generale conoscono le malattie reumatiche che possono portare a situazioni di invalidità e questo fa perdere tempo nell’invio allo specialista reumatologo e dunque alla presa in carico e all’inizio delle terapie ad hoc per quel paziente. La diagnosi precoce è un’arma vincente, lo sappiamo. Basta lungaggini e lavoriamo sulla formazione dei medici di medicina generale e su un miglior dialogo tra tutti gli stakeholder», continua De Cata.

A sottolineare il mancato dialogo tra medico di medicina generale e lo specialista reumatologo è anche il 32% dei 576 malati reumatici che hanno risposto alla survey CReI  e presentata oggi, all’apertura del XXIII Congresso Nazionale CReI che si sta svolgendo in modalità virtuale. «Al primo posto, però, con il 38,3% spiccano le lungaggini sui tempi di attesa per una prima visita, a cui segue, con il 34,2% delle preferenze, l’esigenza di avere al più presto un riconoscimento nella riduzione del ticket per le indagini e i farmaci di cui necessitano ogni patologia cronica, il 32% sottolinea il bisogno di vedersi riconosciuto una invalidità retributiva quando la malattia è disabilitante, e il 31,9% chiede a gran voce di sentirsi maggiormente accolto».

«Da marzo a ottobre, l’offerta ai malati reumatici è decisamente cambiata. Anche perché molti degli specialisti reumatologi ospedalieri sono stati cooptati nelle unità Covid», premette Stefano Stisi, Past President CReI, sottolineando inoltre che «Il Piano Nazionale delle Cronicità – PNC – non è mai stato attuato. E così come è pensato non può soddisfare tutti i bisogni di chi ha una malattia cronica reumatologica. Serve una rete che funzioni, e che si occupi di queste problematiche al più presto. Noi stiamo seguendo i nostri pazienti, anche a distanza, ma è indubbio che la pandemia abbia amplificato i problemi già esistenti ante-Covid. E nonostante abbiamo avuto diversi mesi dopo il lockdown per tentare di arginare alcuni problemi, la mancanza di una rete solida e orientata al raggiungimento dello stesso obiettivo non ha fatto altro che amplificare i problemi» sottolinea Stefano Stisi.

E il bisogno di sentirsi accolto da parte dei pazienti reumatici va letto anche alla luce di queste difficoltà. «Mancata empatia, in generale, è di sicuro la parola chiave», fa notare Antonella Celano, Presidente APMARR. «Ma se vogliamo portare l’attenzione a solo a ciò che manca nel rapporto con i medici specialisti, e che vorremmo comprendessero, è che abbiamo bisogno di sentirci maggiormente accompagnati nel percorso di cura: vorremmo che il medico ci guardi mentre stiamo parlando, e che non si metta a scrivere o non ci interrompa perché deve rispondere a una chiamata, a titolo di esempio».

«Tutti questi bisogni dicono anche che noi pazienti reumatici non ci sentiamo tutelati. Ma un malato reumatico, magari immunodepresso per le terapie che sta facendo, ha le stesse esigenze in tutta Italia. Non ci possono essere provvedimenti diversi da Regione a Regione», rilancia Silvia Tonolo, presidente ANMAR (Associazione nazionale malati reumatici). «Rimanendo sui bisogni espressi dai pazienti: noi non abbiamo bisogno solo di farmaci, abbiamo bisogno anche di un buon dialogo. Abbiamo bisogno di sentirci accolti, appunto. E anche le parole sono cura. Molte volte, poi, ci si aggiunge che nelle UOC non sempre si vede lo stesso medico, e questo non aiuta a creare un rapporto più empatico. C’è il poco tempo a disposizione, che si ha durante una visita, e quindi altre problematiche come quelle relative alla gravidanza e alla sfera sessuale vengono un po’ messe da parte, per esempio. Ma ci sono anche questi bisogni da tenere in considerazione: il sentirsi accolti dipende da molti fattori. La telemedicina e il teleconsulto sono sicuramente utili in questo momento di emergenza, ma dobbiamo ricordarci che non tutti i malati sono così avvezzi all’uso delle nuove tecnologie. E chi non lo è, cosa fa? Sta di fatto che c’è un altro focus su cui portare l’attenzione: la mancanza di letti per i pazienti reumatologici negli ospedali è un problema che va risolto al più presto. Chi è in acuzie e ha bisogno di assistenza non può attendere che l’emergenza pandemica finisca. Non ultimo, c’è anche il bisogno di sapere come saremo tutelati sul lavoro» afferma Silvia Tonolo.

Cosa manca, quindi, affinché tutti questi bisogni siano soddisfatti? «Una rete reumatologica che prenda in carico il paziente al momento giusto, per iniziare quanto prima un trattamento terapeutico che preveda la collaborazione di tutte le figure professionali che hanno l’obiettivo di mantenere e raggiungere il benessere psicofisico e sociale del paziente, osservando la definizione di salute, intesa sia in senso fisico, psicologico e relazionale, espressa dall’OMS. Serve anche una migliore organizzazione della telemedicina – su cui stiamo già lavorando – e tanto ascolto sia dei pazienti sia dei colleghi reumatologi. Siamo tutti d’accordo su questa linea, ora non resta che passare dalle parole ai fatti, altrimenti anche questa seconda ondata pandemica si chiuderà con un’altra occasione persa per la Reumatologia e per i malati reumatici, lasciando, ancora, tutti insoddisfatti» conclude Gilda Sandri, Vicepresidente CReI.

 

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