Intervista a Nicola Buonaiuto, delegato territoriale degli specialisti ambulatoriali Cisl Medici
Se tutti noi stiamo attraversando un periodo complicato, per i nostri anziani deve essere decisamente più difficile. Spesso affetti da diverse patologie, necessitano del conforto della famiglia o della presenza di qualcuno che trasmetta loro un po’ di sicurezza. Ma c’è una fascia piuttosto grande della popolazione anziana che non ha mai interrotto il lockdown perché vive nelle case di riposo, situazione che determina spesso problemi di stress e depressione.
E poi questo è il periodo dei vaccini antinfluenzali che solitamente vengono consigliati dal medico di famiglia. Tanti lo fanno abitualmente, ma molti altri stanno scegliendo di farlo per la prima volta per scongiurare il nuovo malanno e distinguerlo dal Covid.
Con il dottor Nicola Buonaiuto, delegato territoriale degli specialisti ambulatoriali Cisl Medici, Asl Roma 4, facciamo una carrellata delle principali problematiche legate alla terza età, a partire dai rischi legati al contagio del Covid.
Quali sono le particolarità cliniche che rendono gli anziani più suscettibili al contagio di questa malattia e alle maggiori complicanze che può causare?
«L’anziano ha normalmente più di un motivo per essere a maggior rischio di complicanze e quindi di mortalità in caso di insorgenza di infezioni; tra i principali motivi c’è la ridotta efficienza del sistema immunitario per contrastare le aggressioni di patogeni esterni e la frequente compresenza di diverse patologie croniche come diabete, bpco, scompenso cardiaco che aumentano esponenzialmente la fragilità delle difese dell’anziano».
Nel nostro Paese secondo lei come è stata gestita la protezione della popolazione anziana in questo periodo?
«Purtroppo è sempre più evidente come le iniziali speranze che questa pandemia, pur nel suo dramma, potesse rappresentare anche una occasione per rivedere l’efficacia di una assistenza sanitaria equa ed universalistica, stiano naufragando di fronte allo scarso tesoro che è stato fatto dagli amministratori dei nostri SSR delle troppe carenze e disfunzioni riscontrate nei primi drammatici mesi del contagio. Come avevamo purtroppo previsto le iniziali lodi rivolte al personale sanitario si sono presto rivelate come attestazioni di maniera, demagogiche e prive di riscontro reale se è vero come è vero che la programmazione sanitaria continua a lasciare estremamente soli i medici e gli infermieri per i quali questa nuova ondata di contagi non sembra promettere alcun miglioramento nell’organizzazione e nelle risorse chieste a gran voce dalle rappresentanze di categoria durante l’inizio di questa pandemia. Ciò si sta riflettendo, inevitabilmente, sugli strati sociali e demografici più fragili del nostro sistema con disagi spesso drammatici per la popolazione anziana».
La politica si sta dimostrando generalmente all’altezza di questo difficile compito?
«Ciò che desta stupore è proprio la disinvoltura con cui si stiano sdoganando, anche da parte di molta politica, concetti di abbandono o di riduzione di risorse proprio nei confronti dei malati anziani che necessiterebbero invece di più attenzioni ed organizzazione della assistenza a loro dedicata per non far aumentare il loro carico di disabilità e comorbidità che a sua volta inevitabilmente genera aumenti di spesa sociale e sanitaria. Stanno passando concetti semplicistici che non considerano come il ridurre risorse sanitarie agli anziani generi contestualmente grossi aumenti di spesa sociale e alti costi indiretti legati al peso ed al disagio delle moltissime famiglie che in Italia oggi si fanno carico direttamente dei propri anziani. Quindi, anche senza scomodare l’etica – che comunque in sanità non va mai persa di vista quando si tratta di assistenza ai più fragili – occorre rifuggire dalle semplificazioni ascoltate in questi giorni che vorrebbero suggerire come l’esclusione degli anziani da alcuni setting di cure sia un processo economicamente virtuoso. Noi geriatri sappiamo bene che non è così. La trascuratezza o peggio l’esclusione dalle cure degli anziani si riflette drammaticamente sull’incremento della disabilità, della non auto sufficienza e di tutti i costi sociali e sanitari conseguenti».
Su quali linee sarebbe opportuno muoversi, allora?
«Certamente quella dell’ascolto delle categorie sanitarie ormai da tanti mesi in prima linea. Noi medici, singolarmente e tramite molte organizzazioni di categoria, proponiamo dall’inizio della pandemia un incremento del personale medico ma da strutturare permanentemente nei vari nodi ospedalieri e territoriali ormai impoveriti e sguarniti da anni di mancato turnover. E questo in particolar modo deve avvenire nel sistema sanitario pubblico che dovrà, a nostro avviso, continuare ad essere il pilastro principale e fondamentale del modello di cura del nostro Paese. Purtroppo anche le occasioni di reclutamento che finalmente le prime risorse economiche emergenziali avevano reso possibile si stanno trasformando in molte regioni in reclutamenti “atipici” con richiami dalla pensione, contratti a tempo per specializzandi ancora in formazione, contratti a tempo determinato, senza volere puntare invece su una occasione unica ed irripetibile di rinforzo strutturale con immissione in ruolo di nuovi dirigenti medici e di estensione oraria a tempo indeterminato di tantissimi specialisti ambulatoriali convenzionati ampiamente sottoutilizzati con incarichi orari irrisori e del tutto inadeguati ai crescenti carichi assistenziali».
La scelta che si impone agli anziani di rimanere lontani da affetti e amici può generare stress e depressione? Quanto pesa l’isolamento sociale negli over 70?
«L’isolamento è al tempo stesso tutela e fattore di rischio per gli anziani. Tutela contro il pericolo di contagio ma rischio per le inevitabili ricadute negative sul tono dell’umore e sul quadro cognitivo che l’isolamento comporta negli anziani. La compagnia e gli scambi sociali sono infatti delle variabili che proteggono dalla depressione e rallentano il decadimento cognitivo».
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