Siamo di nuovo in emergenza e servono armi contro il Covid 19 al Cardiocenter dell’Ospedale Niguarda di Milano. Per questo, la Fondazione De Gasperis ha promosso una nuova raccolta fondi online. In primavera, ha affiancato l’attività del Cardiocenter finanziando l’acquisto di 26.000 mascherine FFP2/FFP3 e 600 tute protettive riutilizzabili. «La Fondazione A. De Gasperis – commenta Massimo Torre, […]
Siamo di nuovo in emergenza e servono armi contro il Covid 19 al Cardiocenter dell’Ospedale Niguarda di Milano. Per questo, la Fondazione De Gasperis ha promosso una nuova raccolta fondi online.
In primavera, ha affiancato l’attività del Cardiocenter finanziando l’acquisto di 26.000 mascherine FFP2/FFP3 e 600 tute protettive riutilizzabili. «La Fondazione A. De Gasperis – commenta Massimo Torre, Direttore del Dipartimento Cardiotoracovascolare dell’Ospedale Niguarda – ci ha permesso di ricevere materiale prezioso in un momento in cui i bisogni crescevano di giorno in giorno. In quel momento i privati e le fondazioni sono stati importanti. E ancora una volta la “nostra” Fondazione si è rivelata un partner determinante nel consentire ai colleghi sul campo di garantire agli operatori e ai pazienti uno standard di cura e di sicurezza ottimale».
«Il grande ospedale metropolitano – si legge in una nota – è stato chiamato a gestire l’emergenza in una complessa e ininterrotta sfida organizzativa e professionale sin dal 21 febbraio, il giorno in cui le vite degli italiani e di tutto il mondo sono state cambiate, mutate come il mutamento del virus, nella struttura sono stati attuati importanti interventi gestionali ed organizzativi, che sono stati di volta in volta rivisti in base all’evoluzione della pandemia. Ed oggi, ancora una volta, è l’ospedale Niguarda in prima linea per fronteggiare la seconda ondata».
«Nei primi mesi dell’anno – prosegue – sono stati resi operativi quasi 400 posti letto dedicati a pazienti con covid-19, di cui circa 120 di terapia intensiva, a partire da una dotazione iniziale di 33. Il Pronto Soccorso, nei momenti più difficili, accoglieva una media di 100 pazienti al giorno, il 90% dei quali per sospetta infezione da coronavirus e con grave compromissione delle funzioni respiratorie. Il laboratorio analisi, nell’arco di pochi giorni, ha iniziato a lavorare 7 giorni su 7, H24, diventando in breve tempo la struttura nazionale a effettuare più tamponi al giorno per la diagnosi dell’infezione».
«Nonostante la sospensione temporanea dell’attività “ordinaria”, l’Ospedale ha continuato ad impegnarsi anche per dare risposta alle “altre” urgenze (oncologiche, cardiologiche, neurologiche, trapianti ecc.) ed ha attivato consulti a distanza per l’assistenza ai pazienti cronici e fragili» spiega sul giornale della fondazione Marco Bosio, Direttore Generale ASST del Grande Ospedale Metropolitano Niguarda».
«Durante il periodo Covid gli specialisti sono stati in gran parte adibiti a compiti diversi dal consueto. I cardiologi (il Dipartimento può contare su una quarantina di giovani medici con questa specializzazione) sono stati dirottati in buona parte alla cura dei pazienti Covid in area medica e infettivologica. Altri hanno gestito all’interno degli spazi del Dipartimento, in letti riconvertiti ad hoc, pazienti di competenza medica trasferiti per liberare letti per i malati Covid in altre aree dell’Ospedale, e pazienti cosiddetti post-Covid, cioè clinicamente guariti dalla malattia, ma ancora positivi al virus. La componente anestesiologica è stata quella messa a più dura prova. La terapia intensiva del Dipartimento, il cosiddetto SAR 3, è stata fermata, e i suoi circa 20 anestesisti sono stati tutti destinati alle aree Covid allestite nell’ospedale, compresi gli spazi del Dipartimento Cardiotoracovascolare, a fare terapia intensiva ai pazienti Covid, ovvero gli ammalati più gravi».
«L’area chirurgica, infine, ha subito una trasformazione completamente diversa: il Dipartimento ha affrontato in sede solo gli interventi più urgenti e indifferibili, i cardiochirurghi hanno operato altri pazienti presso altri ospedali milanesi adibiti dalla Regione ad hub per la cardiochirurgia, e i casi non urgenti sono stati differiti. Il Dipartimento Cardiotoracovascolare, infatti, si è trasformato per accogliere e trattare direttamente malati e sospetti malati Covid, continuando a garantire l’attività cardiochirurgica e cardiologica interventistica per i casi non trasportabili nei centri Hub di competenza. Ogni area potenzialmente convertibile è stata trasformata in tempi record in area Covid o intensiva, secondo le esigenze dall’unità di crisi: sono state allestite due terapie intensive, un’area Post-Covid per i pazienti guariti ma ancora infetti, e un reparto di medicina interna dove i professionisti hanno lavorato insieme ad altri specialisti, mentre i dottori più giovani hanno integrato squadre di medicina, pneumologia e infettivologia in altri ambiti dell’ospedale».
«L’intero ospedale Niguarda – ricorda il professor Claudio Francesco Russo, Direttore di Cardiochirurgia del Dipartimento Cardiotoracovascolare all’Ospedale Niguarda – era in prima linea per combattere il Covid e le attività di cardiologia e cardiochirurgia erano contingentate. Anche ai cardiochirurghi, di fatto, la situazione ha imposto di reinventarsi, di acquisire competenze complementari rispetto alla loro iper specializzazione di partenza. Siamo intervenuti anche su alcuni pazienti in condizioni particolarmente compromesse che erano già ricoverati da noi, e su pazienti che si sono auto-presentati al Pronto Soccorso di Niguarda, persone alle quali uno spostamento verso un’altra struttura, per quanto breve, sarebbe potuto costare la vita. Abbiamo effettuato un intervento chirurgico di urgenza su un paziente di 51 anni quando le rianimazioni della Cardiochirurgia non erano disponibili, ( in quanto tutte dedicate all’emergenza Covid), ma la squadra di Niguarda ha allestito in un lampo una rianimazione ad hoc, nella recovery room della sala operatoria, nella quale ha combattuto per quindici giorni insieme al paziente».
«Abbiamo vissuto tutti uno tsunami, ma il Dipartimento ha portato il suo metodo, fatto di eccellenza, profondità e capacità clinica, in ogni ambito dell’ospedale al quale il suo personale è stato assegnato, costruendo dal nulla rapporti professionali e umani solidissimi e facendo da traino a gruppi di lavoro interdisciplinari sorti in poche ore. Abbiamo imparato a essere più collaborativi, più veloci, più rapidi di riflessi, più resilienti rispetto alle difficoltà» conclude la professoressa Cristina Giannattasio, responsabile del Cardiocenter.
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