«La polmonite interstiziale è la principale causa di ricovero e morte tra i pazienti Covid». Attenzione ai sintomi: «Anche se il tampone è negativo, la polmonite può essere da SARS-CoV-2. Questi pazienti se ricoverati erroneamente in area non Covid contribuiscono alla diffusione nosocomiale del virus»
«Il tampone è negativo, ma i sintomi del paziente fanno pensare ad una polmonite da Covid-19: è questo il momento in cui non bisogna mai abbassare la guardia». L’avvertimento arriva da Adriano Vaghi, presidente dell’Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri-Italian Thoracic Society (AIPO-ITS), in occasione della Giornata della polmonite, che si celebra il 12 novembre in tutto il mondo.
È stata la stessa AIPO a promuovere un documento che propone un approccio pragmatico alla diagnosi di polmonite da Covid-19 con RT-PCR negativa utilizzando un algoritmo decisionale clinico-radiologico. «Questi pazienti – continua Vaghi – possono essere erroneamente ricoverati in area non Covid e pertanto contribuire alla diffusione nosocomiale del virus. È molto probabile che risultino positivi già ad un secondo tampone e se così non fosse lo pneumologo può procedere all’esecuzione di un lavaggio broncoalveolare, un particolare esame che permette di recuperare le secrezioni direttamente dal polmone».
«Si tratta di una polmonite interstiziale, tipicamente bilaterale e mantellare, che si differenzia dalle altre polmoniti perché inizia nell’interstizio polmonare, tra alveoli e capillari dove avvengono gli scambi gassosi – dice Vaghi -. Si manifesta all’RX o alla TAC del torace attraverso aree cosiddette “a vetro smerigliato” che possono evolvere in “aree di addensamento parenchimali confluenti”, fino al cosiddetto polmone “bianco bilaterale”. Ma l’evoluzione peggiorativa non è scontata. Questa polmonite interstiziale colpisce dal 5 al 20% dei soggetti con infezione da SARS-CoV-2. La percentuale è così variabile perché – sottolinea l’esperto – dipende dal numero di tamponi effettuati: se si analizzano solo i casi gravi la percentuale aumenta, se si analizzano anche i contatti delle persone affette da Covid si riduce notevolmente. La polmonite interstiziale è la principale causa di ricovero e morte dei pazienti con infezione da Covid-19, soprattutto tra gli anziani affetti da pluripatologie».
«La polmonite da Covid-19 che richiede ricovero ospedaliero si associa ad insufficienza respiratoria – dice il presidente AIPO-ITS -. Per impedirne l’evoluzione nelle forme più gravi si è dimostrato particolarmente utile l’impiego del cortisone (studio Recovert pubblicato NEJM nel luglio 2020). Associando al farmaco un uso esperto della ventilazione non invasiva (NIV) e un’attenta monitorizzazione, che consente di decidere i tempi di ogni intervento (ossigeno, ossigeno ad alto flusso, ventilazione non invasiva, necessità di un intervento invasivo) è possibile ridurre la mortalità per polmonite da Covid-19». La pneumologia italiana ha utilizzato questo tipo di strategia terapeutica, che ora trova un consenso nella quasi totalità dei documenti internazionali, già nel mese di aprile.
LA LOTTA DI AIPO CON IL COVID
L’impegno della pneumologia italiana nella prima fase della pandemia è stato confermato da tre sondaggi (effettuati alla fine dei mesi di febbraio, marzo e maggio) sulle attività di ricovero, su un campione di 80 pneumologie, rappresentative della realtà del Paese. «Abbiamo moltiplicato gli sforzi, l’assistenza specialistica e la disponibilità di posti letto – spiega il presidente AIPO -. Sono stati attivati, nel campione in esame, circa mille posti letto di semi-intensiva respiratoria, dove sono stati trattati circa 10 mila pazienti (il 40% con ventilazione non invasiva) ed il 15% in modo invasivo (intubati o tracheotomizzati), questi ultimi solitamente in collaborazione con la Rianimazione».
I pazienti trattati provenivano per il 45% dal Pronto soccorso, circa il 35% da reparti a minor intensità (come la Medicina interna ) e i restanti dalla Rianimazione. «Le semi-intensive respiratorie – commenta Vaghi – hanno svolto, pertanto, un importante compito nel decongestionare le Rianimazioni e trattare con appropriatezza i pazienti trasferiti dai reparti a minor intensità per aggravamento, potendo offrire interventi di ventilazione, attento monitoraggio e corretto timing degli steroidi. I risultati, in termini di riduzione della mortalità, sono stati ottimi».
Sono stati effettuati anche numerosi interventi di svezzamento e decannulazione di pazienti tracheotomizzati provenienti dalle Rianimazioni. Il compito della Pneumologia, poi, non si è esaurito nemmeno con la dimissione del paziente: «I reparti di Pneumologia hanno attivato degli ambulatori di continuità delle cure dove vengono seguiti regolarmente gli ammalati dimessi per polmoniti da Covid-19. Un impegno necessario se si considera – conclude lo specialista – che il 20-30% dei pazienti presenta dei danni polmonari residui».
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