Nel 2011 un terribile incidente lo ha costretto sulla sedia a rotelle. Oggi Marco Dolfin è un plurimedagliato campione di nuoto e continua ad operare al San Giovanni Bosco di Torino. Cruciale l’incontro con il chirurgo Paolo Anibaldi, paraplegico dall’età di 17 anni. La storia raccontata dal fratello Alberto nel libro “Iron Mark”
Quando si descrive una storia come “fuori dal comune” spesso c’è una buona dose di retorica nell’espressione. Non è così nel caso di Marco Dolfin, classe 1981, chirurgo ortopedico del San Giovanni Bosco di Torino. La sua vicenda, narrata nel volume “Iron Mark” (Bradipolibri) scritto dal fratello Alberto (giornalista sportivo) è una storia di sofferenza e di rinascita, sicuramente un esempio di come trasformare un brutto evento personale in una ripartenza di successo.
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La vita, come spesso accade, sa essere arcigna: in quell’autunno in cui sarebbe cambiato tutto Dolfin si era appena sposato ed era reduce dal viaggio di nozze; i suoi studi in Medicina erano stati coronati dall’assunzione al San Giovanni Bosco. Proprio mentre tutto sembrava mettersi per il meglio, il destino ci ha messo lo zampino la fatidica mattina dell’11 ottobre 2011: quel giorno Marco arrivò in ospedale ma «dalla parte sbagliata». Ebbe un terribile incidente in moto: un’auto aveva saltato lo spartitraffico, travolgendolo. Braccio rotto e problemi all’anca, ma nessuno poteva immaginare che Marco sarebbe stato colpito da paraplegia completa. Quel «non sentire più le gambe» è una sorta di sentenza che nessuno vorrebbe provare e che invece il giovane chirurgo ha provato sulla sua pelle.
Dopo un periodo complesso e una lunga riabilitazione all’Unità Spinale Unipolare, Dolfin ha trovato dentro di sé le energie per ricominciare una nuova vita accanto alla sua giovane sposa Samanta, infermiera. Lo sport, nel quale eccelleva già prima, e il lavoro saranno due chiavi della sua rinascita.
I suoi punti di riferimento nello sport sono i campioni Alex Zanardi e Federico Morlacchi, mentre nel lavoro guarda con ammirazione al chirurgo Paolo Anibaldi, paraplegico dall’età di 17 anni. Una sua frase in particolare lo ispirava: «La disabilità rende certamente la vita più faticosa, ma non deve impedirci di realizzare i nostri sogni». La vita poi gli offrì, casualmente, l’occasione di incontrare Anibaldi e di capire come poteva tornare ad essere un chirurgo.
Dolfin si ispira al meccanismo inventato da Anibaldi per operare: l’utilizzo di uno speciale ausilio che gli permette di eseguire i lavori da posizione eretta. Un ottimo punto di partenza per Marco, ma non sufficiente: il chirurgo ortopedico, soprattutto quando opera gli arti inferiori, ha bisogno di muoversi e di spostarsi in autonomia. Così parte alla ricerca di una carrozzina verticalizzabile, entra in contatto con Roberto e Alessio Ariagno, tecnici delle Officine Ortopediche Maria Adelaide, che hanno reso possibile il sogno di Marco: continuare ad operare e a fare il medico. Nel 2013 Marco torna in sala operatoria a fare quello che più amava. Sua compagna inseparabile mentre opera è la carrozzina verticalizzabile: «La cosa bella – afferma – è che mi consente di essere autonomo dalla A alla Z, da quando ci salgo sopra a quando finisco». Naturalmente, pazienti e familiari erano e sono tuttora sopresi di vedere un medico sulla sedia a rotelle. Ma alle più svariate reazioni, lui rispondeva sempre la stessa cosa: «Io vado a tagliarmi i capelli da un parrucchiere calvo ma il suo lavoro lo sa fare molto bene».
Oggi Marco è un papà felice di due gemelli, Mattia e Lorenzo, che sono i suoi primi tifosi quando è in vasca. Sì, perché la storia di Marco Dolfin, già di per sé eccezionale, è resa ancora più eccezionale dagli straordinari risultati raggiunti nel nuoto. Dopo una prima parentesi dedicata al tennistavolo, ma con scarsi risultati, il chirurgo si è infatti dedicato al nuoto. Un impegno che cresce di intensità nel tempo grazie al supporto del suo team, la Briantea 84, e che gli vale nel 2016 la convocazione in Nazionale. Una storia di successo, coronata da diverse medaglie: bronzo ai Campionati Europei di Funchal 2016, finalista e poi quarto alla Paralimpiade di Rio 2016, argento ai campionati Europei di Dublino 2018.
«Devo sempre arrivare primo, cercavo di farlo anche quando eravamo piccoli e nostra mamma ci chiamava tutti a tavola – racconta Marco Dolfin -. Mi piace lo sport e l’ho sempre fatto, il sogno olimpico nasce da bambino e credo che tutti gli sportivi abbiano il desiderio di competere con il meglio che c’è al mondo».
«In questi ormai nove anni mi sono accorto di come tanta gente abbia potuto trarre ispirazione, speranza e convinzione dal percorso di Marco – spiega nel libro Alberto Dolfin – sentimenti di cui in un momento storico in cui tutti stiamo lottando per ripartire e riprenderci la nostra quotidianità c’è davvero bisogno».
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