Lavoro e Professioni 17 Novembre 2020 11:20

Tar Lazio: «Visite domiciliari a malati Covid compito esclusivo delle Usca». Le reazioni

La sentenza accoglie in parte il ricorso di Smi: le visite domiciliari ai malati Covid non dovrebbero essere compito dei medici di famiglia. Appoggio anche da FNOMCeO, che ricorda i morti per mancanza di protezioni. Contraria l’Unità di Crisi Lazio

Tar Lazio: «Visite domiciliari a malati Covid compito esclusivo delle Usca». Le reazioni

«L’affidamento ai medici di medicina generale del compito di assistenza domiciliare ai malati Covid» è in contrasto con la disciplina emergenziale attualmente in vigore. A stabilirlo è il Tar del Lazio, che ha in parte accolto il ricorso del Sindacato dei medici italiani contro alcune ordinanze e provvedimenti della Regione Lazio. I medici di medicina generale, si legge nella sentenza «risultano investiti di una funzione di assistenza domiciliare ai pazienti Covid del tutto impropria che per legge dovrebbe spettare unicamente alle Unità Speciali di Continuità Assistenziale, istituite dal legislatore nazionale d’urgenza proprio ed esattamente a questo scopo».

LA SENTENZA DEL TAR

Ancora, riporta la sentenza riferendo quanto sostenuto dai ricorrenti, i medici di medicina generale «gravati di compiti del tutto avulsi dal loro ruolo all’interno del Ssr, vengono pericolosamente distratti e di fatto sollevati dal loro precipuo compito che è quello di prestare l’assistenza ordinaria, a tutto detrimento della concreta possibilità di assistere i tanti pazienti non Covid, molti dei quali affetti da patologie anche gravi».

La terza sezione quater del Tar fa riferimento al decreto legge n. 14 del 9 marzo scorso, che prevede che le Regioni istituiscano una unità speciale «per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero». Secondo i giudici amministrativi, è questa che «rende illegittima l’attribuzione di tale compito ai medici di medicina generale, che invece dovrebbero occuparsi soltanto dell’assistenza domiciliare ordinaria (non Covid)». Per questo «hanno ragione i ricorrenti quando affermano che il legislatore d’urgenza ha inteso prevedere che i medici di medicina generale potessero proseguire nell’attività assistenziale ordinaria, senza doversi occupare dell’assistenza domiciliare dei pazienti Covid».

IL NO DELL’UNITÀ DI CRISI LAZIO

Dopo la sentenza, l’Unita di Crisi Covid della Regione Lazio, tuttavia, ha annunciato ricorso urgente al Consiglio di Stato. In quanto la sentenza del Tar «è in contraddizione con le funzioni che il nuovo Accordo collettivo nazionale assegna ai medici di medicina generale. Tant’è che di recente è stato siglato un accordo nazionale, non dalla sigla che ha proposto il ricorso al Tar, che permettere loro di eseguire i tamponi rapidi, dove necessario anche a domicilio».

«La sentenza del Tar, che rispettiamo, non tiene conto – si aggiunge in una nota – di un quadro di forte evoluzione del ruolo dei medici di medicina generale nel contrasto alla pandemia ed arriva dopo 8 mesi dalle modalità organizzative messe in atto che finora hanno consentito di essere nella cosiddetta zona gialla. Nel Lazio vi sono oltre 60 mila persone in isolamento domiciliare ed è tecnicamente impossibile gestirle unicamente con le Usca-r».

SMI: «SODDISFATTI DEL RICONOSCIMENTO»

Di parere contrario è Smi, che aveva contribuito a innescare il processo. «Siamo soddisfatti del grande riconoscimento delle nostre sacrosante rivendicazioni a tutela dei medici di medicina generale del Lazio e dei cittadini di questa regione – secondo Cristina Patrizi, responsabile regionale area convenzionata di Smi Lazio – per le quali questa miope gestione regionale, con un Coordinamento Uscar assolutamente autoreferenziale e mai concordato con la categoria medica, ha danneggiato la concreta realizzazione della presa in carico domiciliare dei pazienti Covid e sospetti Covid. Si era addirittura legiferato finanche di effettuare visite domiciliari da affidare ai medici delle Ucp con un vulnus drammaticamente serio».

«È ora di dire basta, è ora che regione Lazio capisca quanto è stata finora mal consigliata – prosegue -. Si convochino subito le parti per concertare atti e organizzare finalmente la rete territoriale di emergenza Covid. I medici di famiglia sono stanchi di vedersi affidare compiti inutili e impropri come i tanto sbandierati tamponi antigenici e necessitano di concreto sostegno per la gravosa gestione domiciliare dei pazienti Covid e sospetti Covid e di voltare pagina».

FNOMCEO: «MIGLIOR RISPOSTA A CHI DIPINGE MMG COME DISERTORI»

«Piena condivisione delle motivazioni con le quali i Giudici del Tar Lazio hanno determinato che l’affidamento ai Medici di Medicina Generale del compito di assistenza ai malati Covid risulta in contrasto con la normativa emergenziale», anche il presidente di Fnomceo Filippo Anelli si associa all’approvazione della sentenza.

«È evidente che la ratio del legislatore d’urgenza era quella di attribuire in maniera precisa compiti e funzioni assistenziali: alle USCA, unità operative attrezzate con i necessari dispositivi di protezione e con l’adeguata strumentazione, l’assistenza domiciliare ai malati di Covid; ai Medici di famiglia l’assistenza ai pazienti cronici e ai pazienti con acuzie non dovute al Covid», argomenta.

«Questa sentenza è la miglior risposta a notizie allarmistiche e infondate diffuse nei giorni scorsi, che dipingerebbero i medici di Medicina Generale, dopo averli esaltati come eroi, quasi come disertori – continua -. Notizie che ci amareggiano sino alle lacrime, e che possono essere smentite, in maniera per noi ancora più significativa, da ciascuno dei nostri pazienti, che ci chiamano senza limiti, da parte nostra, di disponibilità e di tempo, anche solo per un consiglio, una rassicurazione, una parola di conforto».

Prima di concludere, Anelli ricorda i 192 medici deceduti a causa di Covid-19, più di metà medici di medicina generale. «Chiediamo dunque alle Regioni che applichino le Leggi uniformemente su tutto il territorio nazionale, attivando le Usca, e utilizzandole per i loro compiti, senza distrarle su altre funzioni – conclude -. Non deve essere la Professione medica, non devono essere le altre professioni a subire le conseguenze delle disfunzioni organizzative dei sistemi sanitari».

 

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