Il presidente del CdA nazionale: «La pandemia ha aggravato le criticità già esistenti, è arrivato il momento di risolverle. L’offerta territoriale è inadeguata alle richieste di assistenza dei cittadini»
«Scarsa presenza sul territorio e formazione inadeguata sia per posti disponibili ogni anno, sia per le tipologie di specializzazione offerte: sono le criticità emerse a seguito della pandemia da Covid-19 che, seppur già presenti in passato, oggi è necessario e urgente risolvere». È Renato Riposati, presidente del CdA nazionale degli educatori professionali, ad offrire un’analisi dello stato dell’arte delle condizioni in cui opera la categoria che rappresenta, a nove mesi dall’esplosione della pandemia che, per la sua gravità, ha messo a dura prova la gestione dell’intero Sistema Sanitario Nazionale.
«Il numero di educatori professionali attualmente abilitati – continua Riposati – non è sufficiente a soddisfare tutte le esigenze di assistenza nei vari ambiti di competenza, dagli anziani, ai disabili, ai minori, fino alla salute mentale. Per questo motivo chiediamo, già da tempo, un ampliamento dell’offerta formativa. Il nostro corso di laurea è attualmente a numero chiuso ed ogni anno è garantito l’accesso ai 740 studenti che raggiungeranno il punteggio più alto al test d’ingresso. Secondo le nostre stime, precedenti alla pandemia da Covid-19, i posti disponibili dovrebbero essere almeno 900. È molto probabile che questa richiesta subirà un nuovo incremento a seguito delle prossime analisi che andranno a valutare la situazione in epoca Covid».
Non tutte le università d’Italia offrono un corso di laurea in educazione professionale: «Addirittura c’è chi è costretto ad andar fuori dalla propria regione di residenza, come accade in Sicilia dove questo indirizzo non è presente in nessuna università dell’isola. In altre realtà, come Calabria, Sardegna o Liguria, l’offerta, se disponibile, è discontinua, rinnovata a bienni o trienni alterni», racconta il presidente del CdA nazionale degli educatori professionali.
Alcune professioni sanitarie hanno più volte avanzato l’ipotesi di voler prolungare il proprio corso di laurea da tre a quattro o cinque anni. Per gli educatori, invece, un triennio di formazione di base è sufficiente. «È l’offerta di formazione specialistica a dover essere incrementata – dice l’educatore professionale -. Durante il corso di laurea è previsto un tirocinio di circa 1.500 ore distribuite nel triennio, che permette agli studenti di affiancare i professionisti di un servizio, lavorando anche in equipe interdisciplinari per apprendere la collaborazione con altre figure professionali. Ma successivamente, per migliorare ulteriormente le proprie competenze, avrebbero bisogno di poter accedere a delle magistrali specializzanti. Ad oggi, l’unica specializzazione disponibile per gli educatori professionali è nell’ambito del management, un percorso post laurea che consente l’accesso ai ruoli dirigenziali all’interno dei sistemi sanitari, settore in cui le possibilità di carriera sono davvero scarse. Quello che, invece, sarebbe necessario offrire sono le specializzazioni nei distretti dove gli educatori professionali operano più di frequente: minori, anziani, handicap, salute mentale».
Diversificazione delle specializzazioni e aumento dei professionisti formati ogni anno potrebbero essere le prime due soluzioni utili ad aumentare e migliore l’offerta territoriale: «Durante la pandemia, gli educatori, salvo che nei contesti residenziali dove i servizi non sono stati mai interrotti, hanno cercato di dare seguito alla propria assistenza attraverso la tele riabilitazione – dice Riposati -. Più rari gli interventi a domicilio che, potendo contare su un numero maggiore di professionisti, avrebbe meglio garantito la continuità e l’efficacia dell’assistenza. Soprattutto – conclude il presidente del CdA nazionale degli educatori professionali – tra le fasce più fragili della popolazione che senza il sostegno in presenza dei professionisti sanitari potrebbero peggiorare la loro condizione di isolamento».
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