L’europarlamentare del Carroccio è critica verso l’ACN che ha imposto ai medici di famiglia l’esecuzione dei tamponi rapidi. «Andava data loro la possibilità di effettuarli in tutta sicurezza, in locali idonei messi a disposizione in modo capillare sul territorio»
Il nuovo Accordo Collettivo Nazionale (ACN) di fine ottobre che, de facto, impone ai medici di famiglia e ai pediatri di libera scelta di eseguire i tamponi antigenici rapidi per testare i pazienti al Covid-19 non convince l’eurodeputata della Lega e medico legale Luisa Regimenti.
L’analisi di Regimenti, che è anche responsabile Sanità della Lega nel Lazio, va al cuore della questione e abbraccia alcune delle perplessità avanzate nei giorni scorsi dai sindacati che non hanno firmato l’accordo, però vincolante anche per i non firmatari.
In base al testo dell’intesa, i medici dovranno, infatti, testare, in quanto casi sospetti di Covid, “i contatti stretti asintomatici individuati dal medico di medicina generale oppure dal Dipartimento di Prevenzione; il caso sospetto di contatto che il medico di medicina generale si trova a dover visitare e che decide di sottoporre a test rapido; i contatti stretti asintomatici allo scadere dei 10 giorni di isolamento identificati in base ad una lista trasmessa dal Dipartimento di Sanità Pubblica”.
«È chiaro – spiega Regimenti – che, soprattutto nei casi di somministrazione del test rapido presso i propri studi, i medici sono dunque sottoposti a un rischio grave per la loro stessa salute. Parlo soprattutto dei medici ultrasessantacinquenni, con patologie pregresse o comunque a loro volta a rischio. Non solo: le nuove disposizioni aggravano di molto il carico già imponente di lavoro del medico di famiglia che, chiaramente, non può certo tralasciare gli altri malati».
Il riscontro di un caso positivo porterebbe a conseguenze gravi per il prosieguo dell’attività dello studio medico: «Mettiamo il caso che un sospetto caso di Covid sia sottoposto al test rapido nello studio del medico di base e questi si riveli, poi, positivo – argomenta Regimenti -. A rigore, lo studio dovrebbe non solo effettuare una sanificazione (di cui l’onere, peraltro, spetterebbe a chi?) ma addirittura chiudere le sue porte, con evidenti disagi per tutti gli altri pazienti dovuti alla sospensione dell’attività. E ancora, come alcuni hanno fatto osservare, recarsi dal medico implica, per un potenziale positivo, utilizzare ascensori o sale d’aspetto e dunque propagare ulteriormente un virus che sembra già fuori controllo. Questo peraltro porterebbe a decine di, anche comprensibili, ricorsi legali da parte di condomini che temono per la sicurezza delle aree comuni. Le prime diffide iniziano già ad arrivare».
Altro tema delicato è quello dei Dispositivi di sicurezza: i medici di medicina generale dovranno riceverli prima di effettuare i test. «Questo è un punto molto importante del nuovo ACN – spiega l’eurodeputata -. In base all’accordo, se il medico è sprovvisto dei dispositivi di sicurezza “il conseguente rifiuto (di effettuare il test) non corrisponde ad omissione, né è motivo per l’attivazione di procedura di contestazione disciplinare”. In tutti i casi il nuovo ACN impone l’obbligo per tutti i medici di base e pediatri di libera scelta di effettuare i test e l’eventuale rifiuto, anche se per uno dei gravi motivi appena esposti, implica un’omissione e potrebbe costituire motivo per una contestazione disciplinare».
Secondo Regimenti è «folle sottoporre a questo pericolo i medici di base, che rappresentano una risorsa preziosissima soprattutto in questo periodo di crisi sanitaria, e che dobbiamo proteggere. Ricordiamo anche che siamo in piena campagna vaccinale e non possiamo far fronte nuovamente a una carenza di personale medico proprio in questo momento, senza contare poi l’arrivo dell’inverno che renderà necessarie sempre più consulenze di base. Essere dalla parte dei medici avrebbe implicato prevedere una non-obbligatorietà nell’Accordo e prendere decisioni di buon senso, almeno stavolta. I medici non si rifiutano di fare i test, anzi, sono sempre stati a disposizione dei cittadini: ma diamo loro la possibilità di effettuarli in tutta sicurezza, in locali idonei messi a disposizione in modo capillare sul territorio e muniti di tutte le più adeguate protezioni individuali».
«Speranza parla di medicina di prossimità – conclude l’europarlamentare – che dovrebbe essere la parola chiave per la costruzione di un nuovo servizio sanitario: ma è davvero giusto, sbandierando questi propositi, accollare un peso spropositato sulle spalle dei medici di base invece di sopperire alle gravi e sistematiche carenze dei Servizi di Igiene e Sanità delle ASL e delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA)?».
«D’altronde – aggiunge la Regimenti -, anche il Tar Lazio ci dà ragione: il Tribunale ha accolto un ricorso proposto dal Sindacato dei Medici Italiani contro dei provvedimenti della Regione Lazio che investivano impropriamente i medici di famiglia di una funzione di assistenza domiciliare ai pazienti Covid che spetta unicamente alle USCA, appositamente istituite d’urgenza dal legislatore. I medici di famiglia, dunque, dovrebbero occuparsi unicamente dell’assistenza domiciliare ordinaria (non Covid). No, caro ministro Speranza: la parola chiave per il futuro della sanità italiana deve essere digitalizzazione e telemedicina, un riequilibrio delle risorse fra Nord e Sud perché vi sia un reale accesso ugualitario al bene salute, e più formazione e attenzione al personale sanitario».
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