Il Presidente dell’Associazione Italiana Podologia Valerio Ponti auspica un ruolo per i podologi anche nelle RSA: «Molti pazienti hanno difficoltà a fare riabilitazione a causa di patologie podaliche». Intanto il Covid complica l’attività: fatturato calato del 30-40%
La ristrutturazione della medicina territoriale e il suo potenziamento, diventati ormai una priorità dell’agenda politica soprattutto con il protrarsi dell’emergenza Covid, coinvolgono anche i podologi, uno dei professionisti sanitari più capillarmente presenti sul territorio ma, salvo rare eccezioni, assenti dal Servizio sanitario nazionale operando quasi sempre in regime di libera professione.
«A parte qualche mosca bianca, operiamo quasi tutti in regime di libera professione nei nostri studi. C’è qualche collega che esercita nell’equipe multidisciplinare del piede diabetico, ma in tutta Italia sono molto pochi – spiega a Sanità Informazione Valerio Ponti, Presidente dell’Associazione Italiana Podologi e Presidente della Commissione d’Albo di Roma e Provincia -. Come associazione sono anni che spingiamo sulla medicina del territorio che in questo periodo pandemico risulta ancora più importante. Il podologo può svolgere un ruolo fondamentale di prevenzione e un ruolo di sentinella: pensiamo specialmente ai pazienti diabetici o affetti da artrite reumatoide, comunque con pluripatologie. Potremmo sicuramente snellire e aiutare le altre figure professionali attuando un lavoro fondamentale di screening, prevenzione e monitoraggio sul territorio. Come associazione abbiamo presentato più volte dei progetti, dei piani di integrazione e di convenzionamento dello studio podologico con il Sistema sanitario nazionale».
Presidente, come dovrebbe lavorare questa convenzione?
«Noi abbiamo più o meno immaginato un percorso di questo genere: chiaramente il fulcro di tutto è sempre il paziente che solitamente per problematiche podaliche si reca in prima battuta o dal suo medico di medicina generale o presso l’ospedale creando poi problemi legati al sovraffollamento. Abbiamo pensato a una collaborazione con il MMG e il diabetologo dei centri antidiabetici: quindi il paziente si rivolgerebbe al medico di medicina generale che dovrebbe indirizzare dal podologo convenzionato per fare un primo screening, una sorta di scrematura della problematica del paziente come prevedono tutte le linee guida internazionali per valutare il livello di rischio del paziente. Dopo di che il podologo lo reindirizzerà allo specialista competente in caso ci fosse bisogno di un approfondimento diagnostico-terapeutico o gestirlo in autonomia nei limiti del suo profilo professionale. Questo sicuramente avvantaggerebbe il paziente che non si troverebbe a essere rimbalzato da uno specialista all’altro. Si creerebbe, dunque, un percorso ben delineato che abbasserebbe notevolmente il tempo di intervento, fondamentale nei pazienti diabetici, e andrebbe a togliere pazienti all’ospedale evitando l’intasamento delle liste di attesa».
Che ruolo possono giocare i podologi nelle RSA?
«Nelle RSA, intesi come centri di riabilitazione ma anche di lungodegenza, è fondamentale il ruolo del podologo. Ora, grazie anche all’Ordine e all’Albo, abbiamo sempre più interscambio con le altre figure professionali. Parlando con fisioterapisti e altre figure professionali che lavorano già dentro le RSA sappiamo che molti pazienti hanno difficoltà a fare riabilitazione a causa di patologie podaliche: si rischia di perdere tutto il processo riabilitativo per una semplice onicogrifosi, un ispessimento della lamina ungueale. Il podologo diventa fondamentale sia per il ruolo di screening che di trattamento attivo sempre in un regime di équipe nella gestione del paziente per offrire un’assistenza a 360 gradi al paziente. Ad oggi, purtroppo, ancora poche RSA si sono dotate del podologo e purtroppo ci troviamo sempre più spesso di fronte all’abusivismo sanitario. Più volte è stato denunciato alle autorità competenti che nelle RSA il ruolo del podologo viene preso in carico dall’estetista, mestiere di tutto rispetto, ma con profili nettamente diversi».
Quanto il Covid ha complicato la vita dei podologi?
«Sicuramente tanto. Durante la prima ondata, anche su consiglio della Federazione, abbiamo continuato a svolgere solamente le attività improcrastinabili: molti studi cono rimasti chiusi per coscienza civica e hanno anche prestato gratuitamente assistenza telefonica. Non abbiamo abbandonato i nostri pazienti. In questa seconda ondata abbiamo molti problemi per una paura più generalizzata del paziente. In realtà adesso siamo molto più pronti, sappiamo come muoverci, come comportarci, conosciamo tutti i Dpi da utilizzare, sappiamo bene come sanificare i nostri ambulatori e abbiamo aumentato tutti i processi di sanificazione dei nostri studi. Purtroppo, con le persone che hanno ridotto al minimo gli spostamenti, si è visto un calo di fatturato di circa 30-40%».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato