Un team americano rilancia lo studio sui materiali in cardiologia, il presidente della Società di Cardiologia: «Monitoraggio in remoto è il futuro»
«Si tratta di una linea di ricerca totalmente innovativa, un apprezzabile lavoro di ingegneria biomedica, sia per la flessibilità del materiale utilizzato sia per la mancanza di un sistema di alimentazione esterna. Dispositivi come questo possono trasformarsi in eccellenti strumenti sia di diagnosi che di intervento terapeutico in Cardiologia». Pasquale Perrone Filardi, ordinario di Cardiologia, Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’apparato cardiovascolare dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e presidente della Società Italiana di Cardiologia commenta un recente annuncio che arriva dagli Stati Uniti d’America: l’Università di Houston sta lavorando su un dispositivo cardiaco in grado di monitorare e trattare spinose patologie, una “patch”, una toppa insomma, fatta di materiali gommosi e flessibili, che può essere posta direttamente sulla parete cardiaca.
Il lavoro di ricerca è stato pubblicato su Nature Electronics ed è stato condotto da scienziati delle università della metropoli texana, del Texas Heart Institute e dell’Università di Chicago. «I pacemakers e gli altri dispositivi cardiaci impiantabili usati per monitorare e curare aritmie e altri problemi di cuore in generale hanno almeno uno di due importanti problemi – si legge nella news release che riguarda lo studio – sono realizzati con materiali rigidi che non si possono muovere per accompagnare un cuore che batte, o sono invece fatti di materiale soffice che può raccogliere solo un limitato quantitativo di informazioni».
Gli scienziati americani, invece, sono al lavoro «su una pellicola fatta di elettronica gommosa che può essere posta direttamente sul cuore per raccogliere dati riguardo l’attività elettrofisiologica, la temperatura e il battito cardiaco, oltre ad altri indicatori, tutti contemporaneamente». Ulteriore caratteristica di questo dispositivo è quella di «trarre energia direttamente dal battito cardiaco. Questo permette non solo di tracciare dati per la diagnostica e il monitoraggio, ma anche di offrire benefici terapeutici».
«Noi dobbiamo essere attentissimi a quel che succede nel campo della ricerca dei dispositivi miniaturizzati e facili da adottare per i nostri pazienti e, va detto, anche per i medici», spiega ancora Perrone Filardi, raggiunto al telefono da Sanità Informazione: «Dispositivi di questo genere sono estremamente interessanti perché, ad esempio, sono in grado di contribuire a un monitoraggio non in presenza, ma a distanza e in remoto. Questo ci consentirebbe di intervenire precocemente e di aumentare la nostra capacità di controllo del decorso patologico».
Proprio le tecnologie di monitoraggio a distanza del paziente cardiaco sono oggi al centro delle attenzioni di ricerca in campo cardiologico: «Abbiamo evidenze molto interessanti che ci vengono dalla ricerca sugli scompensi, che ci consegnano delle statistiche rilevanti sulla mortalità. Dobbiamo insistere sulla ricerca verso sistemi di impianti e di device totalmente non invasivi, sulle opzioni che ci offrono i sistemi di automonitoraggio – intendendo le piattaforme web in cui il paziente può, in autonomia, caricare periodicamente dei parametri sensibili e farli arrivare presso un centro di monitoraggio. Il problema a quel punto – continua il cardiologo dell’ospedale partenopeo – diventa non tanto l’investimento in tecnologia, quanto l’investimento in risorse umane. Il monitoraggio a distanza del paziente cardiologico ha dei costi, sia di personale che di struttura. E sottolineo un’altra questione importante, che è quella della qualificazione legale e amministrativa della prestazione in telemedicina, un fronte che a tutt’oggi è un po’ lasciato alla discrezionalità dei progetti locali» conclude.
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