In Senato le audizioni di SIMG e FIMMG per riscrivere l’assistenza territoriale del futuro
Ripensare e riorganizzare il modello della medicina territoriale: un’esigenza per la popolazione ma anche e soprattutto per la categoria, i medici di medicina generale. Anche la seconda ondata della pandemia ha portato alla luce la necessità di lavorare concretamente per riqualificare e incentivare la professione da un lato, e dall’altro realizzare la piena integrazione tra ospedali e territorio. Un fattore, questo, che è stato il “grande assente” negli ultimi 9 mesi caratterizzati dall’emergenza Covid. Questi i temi trattati ieri nel corso dell’audizione su “Potenziamento e riqualificazione medicina territoriale post Covid” presso la Commissione Igiene e Sanità del Senato, da parte di due delle realtà della medicina generale (SIMG e FIMMG).
«Per procedere a una modifica radicale del nostro Ssn, cosa di cui credo ci sia la necessità, tutte le sue componenti devono essere coinvolte: non è possibile riorganizzare una branca senza un ripensamento contestuale di tutte le altre – esordisce Claudio Cricelli, presidente SIMG -. Dal punto di vista della retribuzione, la figura del medico di medicina generale è rimasta sostanzialmente ferma alla sua concezione di quarant’anni fa. Non è stata tenuta in conto la grande evoluzione della professione».
«I finanziamenti elargiti – continua Cricelli – non sono sufficienti a coprire le spese di assunzione di personale dipendente, infermieristico e di segreteria, né spesso a dover cercare, per esercitare la professione, un appartamento in affitto, peraltro in condomìni, cosa questa che ha fatto emergere tante criticità in questa fase emergenziale per l’impossibilità di attuare un corretto distanziamento». E sempre sul rifinanziamento: «Credo sia importantissimo che questo venga operato in modo da premiare il valore del singolo e funga anche da incentivo».
«La formazione italiana del medico di medicina generale è considerata, all’estero, eccellente. Paradossalmente, questa eccellenza non riesce ad esprimersi nelle nostre prerogative, nel nostro Paese – denuncia Cricelli -. Penso ad esempio al fatto che non abbiamo l’autorizzazione a prescrivere alcuni farmaci innovativi, ad esempio per il diabete, appannaggio degli specialisti o degli ospedali. Ebbene io penso – continua – che questa preclusione porti anche una discriminazione intrinseca dal momento che per avere accesso a questi farmaci il paziente deve essere preso in carico dallo specialista (e quindi pagare) o dall’ospedale, quando potrebbe essere curato a casa.
A seguire le istanze della FIMMG, portate all’attenzione della commissione dal Segretario Nazionale Silvestro Scotti. Che ha iniziato evidenziando il fattore demografico: «Oggi la popolazione è costituita per la maggior parte da adulti e anziani, con le relative fragilità e cronicità che caratterizzano la loro presa in carico. A questo fattore, però, non si è accompagnata un’adeguata programmazione di assistenza diversificata. Ad oggi ci troviamo, in piena pandemia, con la necessità di dare risposte ad un tipo di acuzie particolare, e la gestione del paziente sarebbe ottimale se il medico di medicina generale fosse autorizzato anche ad azioni di tipo amministrativo (come ad esempio la gestione del magazzino dei DPI) e mantenere queste facoltà nel tempo».
E sulle aggregazioni territoriali ha aggiunto: «Bene nei contesti urbani, ma non a discapito della valorizzazione del medico singolo per raggiungere in maniera capillare i contesti periferici, dove risiede la maggior parte della popolazione italiana e che ha appunto bisogno di prossimità, a causa dell’età media avanzata e delle cronicità».
Sul potenziamento della diagnostica negli studi: «Il finanziamento per le attrezzature diagnostiche di secondo livello è stato un bel passo avanti – dichiara il Segretario FIMMG -. Certo, se non si fosse fermato tutto a causa del Covid, avremmo potuto dare risposte di salute a tutti quei pazienti che necessitavano del secondo livello, convertito a Covid nelle strutture ospedaliere, oltre a favorire quell’integrazione ospedale-territorio che ricerchiamo da sempre. Fermo restando però, che è impossibile dare questo tipo di assistenza senza avere i mezzi per assumere personale infermieristico e di segreteria».
«Il nostro obiettivo è il microteam – aggiunge Scotti – unità assistenziale di riferimento per il territorio in cui è inserito, capace di garantire la capillarità della risposta. Per far questo ci vorrà una capacità di investimento, anche rispetto al modello del nostro ACN, che premi i risultati di salute conseguiti dal singolo. Questo deve portare a una riqualificazione dei contratti in base al raggiungimento degli obiettivi e non in base a modelli di subordinazione caratteristici di un rapporto di dipendenza».
Infine, un passaggio sui giovani: «La pandemia ha fatto sì che per la prima volta anche i giovani si interfacciassero con i medici di famiglia. È fondamentale – conclude Scotti – iniziare a fare informazione in tal senso, in modo che d’ora in poi anche i giovani sappiano come funziona l’assistenza territoriale e che lo prendano come riferimento di salute».
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