Annamaria Parente: «Stiamo lavorando a un modello della medicina di territorio che sia una guida nazionale»
Da settimane la Commissione Sanità ascolta in audizione sindacati, Ordini professionali, professori, esperti per cercare di venire a capo del rebus medicina territoriale che dall’inizio di questa seconda ondata Covid è stata individuata come il punto debole del Sistema Sanitario Nazionale. Per questo Annamaria Parente, Presidente della Commissione Igiene e Sanità di Palazzo Madama, e i suoi colleghi stanno dedicando tempo prezioso “all’Affare assegnato sul potenziamento e riqualificazione della medicina territoriale nell’epoca post Covid”.
«Faremo un rapporto alla fine e il mio desiderio sarebbe portarlo in Aula perché penso che la medicina territoriale sia il fulcro per rinnovare il Sistema sanitario nazionale» spiega Parente in un colloquio con Sanità Informazione in cui la senatrice di Italia Viva parla anche del rapporto tra Stato e regioni che non ha funzionato al meglio in questa emergenza sanitaria: «Il Titolo V va rivisto soprattutto in caso di emergenza: in questo caso lo Stato dovrebbe riprendere le redini. In Germania dove ci sono i Lander e uno Stato federale nel momento dell’emergenza vige una legge nazionale, che già dal 2000 stabilisce che molte questioni debbano essere affrontate a livello statale».
Parente ammette che la «seconda ondata ci ha trovati impreparati» e guarda con realismo all’arrivo del vaccino: «Credo debba essere facoltativo però bisogna avere un piano nazionale di priorità perché sappiamo che non avremo tutte le dosi necessarie all’inizio. Anche con il vaccino dovremo continuare a rispettare le regole e nel contempo accompagnare i cittadini alla vaccinazione».
«Stanno andando molto bene e la settimana prossima ce ne saranno altre. Sono contenta di questo Affare assegnato perché noi intendiamo dare un servizio a tutto il Paese come Commissione: faremo un rapporto alla fine e il mio desiderio sarebbe portarlo in Aula perché penso che la medicina territoriale sia il fulcro per rinnovare il Sistema sanitario nazionale. Ne parliamo tutti ma bisogna farlo. Noi abbiamo 20 Sistemi sanitari diversi e quindi divelli diversi di medicina territoriale. Vorremmo trovare un modello che sia una guida nazionale. Perché senza una medicina territoriale che funzioni, come abbiamo visto con il Covid, sono guai».
«Intanto ci sono approcci completamenti diversi tra le regioni. Sono state costituite le USCA ma non in tutte le regioni funzionano. E poi mi addolora molto il fatto che sono stati esclusi gli Assistenti Sociali. Invece io credo che la medicina territoriale per funzionare debba avere una fortissima integrazione socio-sanitaria. Purtroppo vediamo anche adesso tantissimi ricoveri che definiamo “sociali”, persone anziane che non riescono a stare a casa e l’unica soluzione per loro è l’ospedale. Questo non va bene. Nel Lazio ad esempio ci sono stati dei bandi per reclutare altri medici e infermieri per le cure domiciliari. L’Emilia Romagna ha più centri e distretti quindi i medici ospedalieri escono dall’ospedale e vanno a casa. Ogni regione si sta comportando in maniera diversa. Il risultato è che non riusciamo a gestire l’epidemia sul territorio e nemmeno i malati cronici. La Commissione all’Ordine del giorno ha una risoluzione sui malati oncologici a firma maggioranza-opposizione (senatrici Binetti e Boldrini). Io penso che sulla Salute non ci si dovrebbe dividere. La medicina territoriale porta con sè lo sviluppo della telemedicina. Attraverso le audizioni vogliamo capire come funziona la medicina territoriale su tutto il territorio nazionale e arrivare a un documento che dia delle Linee guida per un sistema nazionale».
«Secondo me sì. C’è stato un referendum qualche anno fa che prevedeva anche questo. Va soprattutto rivisto in caso di emergenza: in questo caso è lo Stato che deve riprendere le redini, lo dico con molta franchezza. In Germania dove ci sono i Lander e uno Stato federale nel momento dell’emergenza c’è una legge nazionale già dal 2000 che stabilisce che molte questioni vengano affrontate dallo Stato. Sul tema della sanità dobbiamo garantire pari opportunità di accesso alle cure in tutto il territorio nazionale e ci sono troppe differenze territoriali».
«Sui dati c’è un dibattitto pubblico, ma abbiamo bisogno di maggiore chiarezza. Il professor Parisi (Presidente dell’Accademia dei Lincei, ndr) è venuto in audizione al Senato e ha portato alcune considerazioni. Sui dati avremmo bisogno di un maggiore approfondimento: servono dati territoriali, dati su dove si presuma che il virus venga contratto. Il problema della privacy può essere risolto. Occorrono informazioni più calibrate affinché possiamo comprendere quale impatto hanno le misure che prendiamo. Dall’altra parte la trasparenza e una comunicazione istituzionale più semplice, più comprensibile per i cittadini. Altrimenti rischiamo che le persone alla fine non seguano le indicazioni che diamo».
«La questione tamponi non è andata come avrebbe dovuto in questa seconda fase. Prendiamo atto che non ci siamo preparati: abbiamo rincorso il virus invece di anticiparlo. Va fatto un piano nazionale di tamponi, omogeneo in tutto il territorio nazionale e rafforzare le Asl, rafforzare il sistema di tracciamento. Probabilmente dovremo fare un tipo di tracciamento più vicino ai paesi che in questo momento stanno controllando l’epidemia e mi riferisco soprattutto ai paesi dell’Oriente. Credo che l’approccio del professor Crisanti, che è venuto in audizione in Senato, vada ascoltato: cioè dobbiamo guardare non al semplice contact tracing ma al network tracing, quello che usato in Veneto. Un sistema nazionale deve tener conto anche delle esperienze che hanno funzionato. Dobbiamo essere chiari con i cittadini: anche se arrivasse il vaccino a gennaio avremo ancora tanti mesi davanti da affrontare. Rispettare le regole, il distanziamento sociale, le mascherine, il lavaggio delle mani e il tracciamento continuo. Con un sistema nazionale di tracciamento potremo cominciare a riaprire le scuole in sicurezza».
«Io credo che vada posto facoltativo però bisogna avere un piano nazionale di priorità perché sappiamo che non avremo tutte le dosi necessarie all’inizio. Serve un piano di distribuzione, di come si conserva, di chi lo distribuisce. Tutto questo va programmato. Adesso noi ci siamo trovati con il virus che ci ha preso alle spalle nella prima fase, nella seconda invece siamo stati un po’ impreparati. Nella terza non ci sono alibi. Anche con il vaccino dovremo continuare a rispettare le regole e nel contempo accompagnare i cittadini al vaccino».
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