Lo psichiatra: «Chi è a rischio suicidio vuole vivere. Per ora serve prudenza»
Il tasso di suicidi è cresciuto in questi lunghi mesi di epidemia da Covid-19? Contrariamente a quanto una risposta istintiva potrebbe far pensare, il quadro è contraddittorio e meritevole di approfondimenti. La situazione è riportata in una recente pubblicazione sul British Medical Journal che fa il punto su tutte le evidenze a disposizione: «Studi già molto diffusi predicevano aumenti nel tasso di suicidi fra l’1 e il 145%, una varianza largamente dipendente dagli assunti di base (…). Tuttavia, un quadro abbastanza netto sta iniziando ad emergere dai Paesi ad alto reddito: alcuni studi suggeriscono che non ci sia stato alcun aumento nel tasso di suicidi nei primi mesi della pandemia, ma il quadro è molto meno chiaro nei Paesi a basso reddito, laddove le reti di sicurezza disponibili in contesti a migliori risorse potrebbero essere vacanti o carenti. Ad esempio dati della polizia del Nepal suggeriscono un aumento nel tasso di suicidi, mentre dal Peru sembra emergere il contrario».
L’esito consigliato dall’autorevole pubblicazione è quello della prudenza: «Siamo in una fase ancora troppo prematura per dire quale sarà l’effetto ultimo della pandemia sul tasso di suicidi. I dati finora a disposizione ci danno qualche rassicurazione, ma il quadro generale è complesso. La pandemia ha avuto effetti variabili globalmente, fra regioni e diverse comunità, perciò un effetto universale sul tasso di suicidi è improbabile. Questo tipo di impatto varierà nel tempo e differirà parecchio in relazione al PIL dei diversi Paesi e alle caratteristiche individuali, come la posizione socioeconomica, l’etnicità e la salute mentale».
Il professor Maurizio Pompili, psichiatra e docente presso l’Università la Sapienza di Roma e uno dei punti di riferimento in Italia per gli studi sul suicidio, commenta questo studio con Sanità Informazione. «Quanto riportato dal British è corretto, oltre che noto. L’impatto della pandemia sui casi a rischio suicidio non è ancora stato decifrato, le statistiche definitive saranno riportate con un congruo ritardo, forse fra un anno e mezzo, due. Conosceremo l’impatto solo a posteriori», spiega Pompili, raggiunto al telefono.
«Inoltre – aggiunge – non è nemmeno detto che i casi collegati al Covid siano rappresentativi del fenomeno, potrebbero essere una goccia nell’oceano. I ricercatori per ora sono concordi nel tracciare tre categorie di casi più a rischio: gli operatori della salute, i casi di crisi economiche e di crisi lavorative».
«Mi piace ricordare però quello che ha detto il direttore generale dell’OMS, l’attenzione alla salute mentale deve andare di pari passo rispetto alla salute somatica o a quella fisica – continua Pompili -. In questo includo la perdita del lavoro, la solitudine, la depressione e tutto il portato di eventuali fallimenti personali. Mi sento di dire che su questo fronte c’è attenzione, mi riferisco ad esempio alla campagna e all’azione messa in opera negli Stati Uniti dalla American Foundation on Suicide Prevention. Stiamo decifrando oggi le condizioni di intervento che dovremo porre in essere poi: questo è un periodo che lascerà dei segni a vari livelli, non ci saranno solo polmoni malandati e persone in terapia intensiva. La pandemia lascerà dei risvolti, questo è certo».
Fra l’altro, continua il professor Pompili, risulta anche difficile collegare il fenomeno del suicidio a un singolo evento, per quanto traumatico e generalizzato come quello dell’epidemia da Sars-COV-2: «Il suicidio per come lo conosciamo noi è un fenomeno multifattoriale. Sarebbe allora improprio e semplicistico andarci a chiedere cosa possa o non possa fare un singolo evento. Dobbiamo chiederci piuttosto quali siano le persone più vulnerabili, quelle che con un qualsiasi impatto, grande o piccolo, possono essere messe alla prova. Questi eventi di pressione sono difficili da decodificare a priori, ognuno ha la sua storia e le tendenze suicidarie sono molto legate alla personalità dell’individuo. Quello che sappiamo, però – conclude Pompili – è che queste persone non vogliono morire, vorrebbero vivere, ammesso che qualcuno le aiutasse a uscire dalla condizione in cui, senza scampo, si sentono».
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