Le terapie innovative per la sclerosi multipla tra i temi portanti del 51° Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia. De Stefano: «Migliorare non solo l’instabilità fisica dei nostri pazienti, ma anche quella cognitiva»
«È il primo trattamento per la sclerosi multipla recidivante che permette di raggiungere fino a 4 anni di controllo della malattia, a fronte di un massimo di 20 giorni di trattamento orale somministrato nell’arco dei primi 2 anni». Nicola De Stefano, MD PhD professore ordinario di Neurologia e direttore della clinica Neurologica e Malattie Neurometaboliche dell’università degli studi di Siena, descrive l’efficacia di cladribina compresse, anticipando a Sanità Informazione uno degli argomenti conclusivi del 51° Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia (SIN) L’appuntamento virtuale ha coinvolto, dal 28 al 30 novembre, circa 2.500 specialisti di tutta Italia.
Tra gli altri temi portanti del Congresso la digitalizzazione della neurologia, le innovazioni nell’ambito della ricerca sui disturbi della coscienza, le ultime scoperte sui fattori di rischio dell’Alzheimer, l’impatto della pandemia sul sonno e il rapporto tra Covid e malattie neurologiche. Una relazione, quest’ultima, non sempre pericolosa: l’analisi di 46 casi confermati o sospetti di Covid-19 (rispettivamente 18 e 28) di pazienti trattati con cladribina, ha dimostrato che i pazienti colpiti da Covid-19 a cui è stato somministrato questo farmaco non hanno avuto un rischio maggiore di esiti gravi. Un successo che si aggiunge all’efficacia già accertata di cladribina.
A fare la differenza è la rapidità di azione: l’ultimo studio presentato sugli effetti della terapia nei pazienti con sclerosi multipla recidivante, ha indagato proprio la velocità di azione. La ricerca ha messo a confronto, attraverso risonanza magnetica, le lesioni iniziali con quelle dei 3 periodi di trattamento (mesi 1-6, 2-6 e 3-6). I dati mostrano gli effetti del trattamento già alla fine del mese 1: le lesioni cerebrali appaiono ridotte del 61% tra i primi 30 giorni e il sesto mese, del 77% nei mesi 2-6 e dell’87% dal terzo al sesto mese. «Risultati molto incoraggianti per la comunità scientifica della sclerosi multipla – aggiunge De Stefano -, che ci permettono di offrire ai pazienti un’opzione di trattamento in grado non solo di mostrare i suoi effetti rapidamente, ma anche di mantenere l’efficacia nel lungo termine. Tutto ciò senza la necessità di un trattamento aggiuntivo o di un monitoraggio frequente».
E sono proprio gli ottimi esiti già ottenuti a spingere i ricercatori ad andare avanti per questa strada. «Uno studio internazionale, attualmente in corso, sta valutando come questa terapia possa migliorare non solo l’instabilità fisica ma anche quella cognitiva. La sclerosi multipla – dice il neurologo – non causa demenza, ma un rallentamento, fino anche alla degenerazione, delle funzioni cognitive. Per questo – conclude De Stefano – la ricerca si concentrerà ora su un’osservazione, a medio e lungo termine, dell’assunzione del farmaco per verificare la sua capacità di rallentare o addirittura fermare il declino cognitivo».
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