Il presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te Lavenia: «La didattica a distanza ha aggravato la diffusione del cyberbullismo. 2 ragazzi su 5 hanno assistito a prese in giro ad insegnanti, 1 su 5 ad altri compagni. Isolamento, disturbi di ansia e del sonno, autolesionismo fino al suicidio le possibili conseguenze per le vittime»
Istituire dei centri di assistenza per chi è vittima di bullismo e cyberbullismo: è questa l’idea di Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta, docente universitario, e presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te. «Come sui social, è ormai assodato che l’immaterialità della relazione digitale ci libera da tutta una serie di freni inibitori – aggiunge il professore -, scatenando fenomeni feroci come l’hate speech o il cyberbullismo».
Una dinamica che si replica anche nella didattica a distanza, sia tra coetanei che verso i docenti: «Due ragazzi su 5 hanno assistito a prese in giro ad insegnanti, 1 su 5 ad altri compagni – prosegue Lavenia -. Fenomeni che avvengono di sicuro anche in classe, ma di certo non in queste proporzioni».
A darne conferma un sondaggio dell’Associazione Nazionale Dipendenze tecnologiche, GAP e cyberbullismo, condotto in collaborazione con il portale Skuola.net e con VRAI (Vision, Robotics and Artificial Intelligence – Dipartimento di Ingegneria Informatica dell’università Politecnica delle Marche) su un campione di 3.115 studenti di età compresa tra gli 11 e i 19 anni.
«Abbiamo deciso di portare avanti questa indagine – spiega Lavenia – per comprendere come i ragazzi stiano affrontando questo periodo di pandemia e, di conseguenza, la didattica a distanza, per poter lavorare sulla consapevolezza e sulla educazione digitale. I giovani appaiono spesso bloccati dalla noia e dall’umore basso, sono spaventati dalle notizie contrastanti che ascoltano ogni giorno o dal vedere i propri genitori angosciati e preoccupati dalla pandemia in atto».
Quelli che i ragazzi credono essere scherzi, in realtà sono atti aggressivi: «La messa online o in chat di una foto e/o di video senza il permesso dell’altro è cyberbullismo e queste immagini rischiano di rimanere nel web per sempre, con tutte le conseguenze immaginabili – dice lo psicoterapeuta -. In rete, molto spesso, si parte per gioco ed è facile perdere il controllo: non si hanno le barriere sociali presenti nella vita reale e la mediazione dello schermo aumenta il senso di libertà».
Ma non è tutto: i ragazzi, rispetto agli adulti, sono più a rischio anche da un punto di vista neurofisiologico: «La loro corteccia cerebrale prefrontale, quindi tutta la zona del sistema limbico deputata al controllo degli impulsi, non è completamente formata», sottolinea lo specialista.
A seguito di episodi di cyberbullismo è aumentato l’autoisolamento: il 45,9% degli intervistati nella fascia di età tra gli 11 e i 13 anni, il 53,4% dei ragazzi tra i 14 e i 16 anni, e il 65,9% dei giovani tra i 17 e i 19 anni dicono di voler rimanere serrati in casa.
Ma il chiudersi in se stessi non è l’unica conseguenza: «Le vittime possono soffrire di disturbi di ansia e del sonno, essere più aggressivi, fino a sviluppare tendenze autolesionistiche e al suicidio. Le cronache, anche recenti, sono piene di queste situazioni – racconta Lavenia -. È per questo che alle vittime deve essere fornito un sostegno psicologico, anche attraverso l’istituzione di centri di assistenza creati ad hoc».
Per trovare una soluzione bisogna scavare alla radice. «È necessario individuare le motivazioni che hanno spinto il carnefice ad agire in modo violento. In Italia, grazie ad una legge sul cyberbullismo, questi atti sono considerati veri e propri crimini», dice il presidente Di.Te.
Ma la punizione giuridica da sola non basta ad arginare il fenomeno: «Solo attraverso un percorso di psicoterapia i cyberbulli possono lavorare sulla propria rabbia e su quel bisogno di costruire un’identità diversa. Fenomeni – aggiunge lo psicoterapeuta – che sarebbe possibile prevenire lavorando nelle scuole sull’intelligenza emotiva dei nostri giovani. Poiché, come emerso da un altro nostro precedente sondaggio, in questo periodo di pandemia il 40% dei ragazzi non riesce ad immaginare il proprio futuro. Un dato preoccupante che mostra una fragilità sempre più marcata tra coloro – conclude Lavenia – chiamati ad essere gli adulti del domani».
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