Il regista Roveris, da 20 anni alla guida del progetto: «Da marzo abbiamo inventato degli esercizi di vita e raccontato la quotidianità da lockdown in una serie di video. Per Natale grande festa via Zoom»
Se il Covid e il lockdown li hanno tenuti lontani, il filo rosso dell’arte e dello spettacolo li tiene uniti, anche quando il teatro è chiuso. Sono i ragazzi de Il Veliero, una compagnia nata nel 2003 come laboratorio sperimentale all’interno di un centro di riabilitazione per ragazzi con sindrome di Down, e ritardi cognitivi. Oggi, nel rispetto delle regole di distanziamento, continuano la loro attività all’esterno diretti da Enrico Roveris, attore e regista con una lunga carriera artistica alle spalle.
«Chi l’avrebbe mai detto?! – esordisce Roveris -. A 25 anni sognavo il cinema, oggi mi occupo di teatro sociale con grande soddisfazione. Il progetto ha radici lontane, più di 20 anni fa, quando, con un gruppo di medici, ho avviato un laboratorio all’interno di un centro di riabilitazione di Monza per gestire adolescenti che presentavano patologie quali la sindrome di Down e ritardi cognitivi medio lievi. La novità era rappresentata dagli obiettivi fissati: non si pensò infatti solo ad avviare un processo ludico socializzante, ma di utilizzare la pratica dell’arte e del teatro come strumento per migliorare la qualità di vita di queste persone. Era il 1998 e abbiamo creato un’associazione che si chiama Il Veliero. Nel 2003 il laboratorio si è trasformato in una compagnia teatrale ad alta specializzazione. Gli adolescenti di ieri sono cresciuti e il progetto pilota si è moltiplicato realizzando laboratori satelliti in diverse città». Allunga il respiro e con orgoglio ammette: «Abbiamo fatto in modo che il teatro potesse diventare non solo un momento di incontro e di relazione, ma anche un vero lavoro».
Una scelta che non solo ha creato delle opportunità lavorative per i ragazzi del teatro Binario 7 – per due di loro si sono aperte addirittura le porte della fiction “Nessuno è perfetto” di Rai 1 come protagonisti – ma ha permesso di aiutare anche i bambini dell’Ospedale San Gerardo di Monza. «La scommessa del primario del reparto di Ematologia dell’epoca, era il 2009, era quella che una cura globale attraverso l’arte potesse riempire un po’ quelle voragini che la degenza aveva creato».
Un grande lavoro di squadra che non si è fermato con il Covid. «Con la dottoressa Longoni abbiamo attivato un lavoro quotidiano via WhatsApp – ricorda Enrico -. Da marzo scorso non abbiamo mai abbandonato i ragazzi e le famiglie e ci siamo inventati degli esercizi di vita con lo scambio di sensazioni». I ragazzi da lontano hanno condiviso, con questa modalità, momenti famigliari ed ora stanno lavorando su nuovi progetti e sul Natale, che sarà, nonostante le restrizioni, un giorno di festa.
«Una volta ristabilita la relazione piana e un colloquio tra amici, abbiamo riattivato il comando del teatro per produrre dei video che raccontassero la quotidianità all’interno delle mura di casa e poi lavorando ad un nuovo progetto con un copione teatrale suddiviso in scene che verrà alla luce tra marzo ed aprile. Nel frattempo, ci sarà il Natale e con il terzo settore cittadino abbiamo ideato una festa virtuale, via Zoom, dove i nostri attori, accompagnati dalla musica di un’orchestra monzese formata da musicisti normodotati e con disabilità, faranno brevi incursioni nelle case di alcuni illustri cittadini monzesi per gli auguri».
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