Medici, infermieri e operatori sanitari non si fermano neanche a Natale. Soprattutto quest’anno, per continuare la battaglia contro il Covid-19
Un Natale diverso per tutti e stravolto dalla pandemia di coronavirus che ormai da un anno attanaglia il mondo. Ma come lo trascorreranno medici e professionisti sanitari? La maggior parte sarà in ospedale a lavorare, dove non è possibile interrompere l’attività nemmeno durante le feste. Soprattutto quest’anno, quando c’è una pandemia da combattere.
«Indipendentemente dal Covid il nostro reparto è sempre molto solerte durante le festività. Non facciamo ferie e i turni sono regolari. Io quest’anno lavorerò fino alla vigilia, mentre il 25 e il 26 dicembre sarò a casa con la famiglia, tamponi permettendo… naturalmente! Infatti, se qualche collega dovesse risultare positivo al tampone, pur essendo asintomatico, verranno rivisti i turni e potrei essere al lavoro».
«Smeralda è siciliana. Minuta nel suo carré rosso e l’accento forte. Innamorata della medicina d’urgenza in tutte le sue declinazioni, sceglie Napoli come sede della scuola di specializzazione. Anche se ancora specializzanda, l’arrivo della pandemia le offre la possibilità di un contratto al CTO. Il pronto soccorso e la medicina d’urgenza in cui si è formata per lei è casa, ormai. Un mostro odiato da tutti, a lei ha consentito l’avverarsi di un sogno. E Natale lontano dai suoi non è triste. Trascorrerà la notte di Natale in pronto soccorso sentendosi importante, necessaria e coccolata dalla nuova famiglia. Le incertezze del nuovo anno, la troveranno più forte con la netta percezione di avercela fatta. Finito il giro del reparto guarda i malati, si gira e, in un improbabile napoletano-messinese, sussurra “Adda passa’ ‘a nuttata!».
«Per più di dieci anni mi sono sempre offerta di essere in servizio il giorno di Natale o la notte della vigilia. L’ho sempre fatto perché ritengo che le festività vadano condivise, in quanto sono un momento in cui stare insieme, unite con le donne e le famiglie. Quest’anno ancora di più, a causa della solitudine che l’ha fatta da padrona anche in un evento gioioso, pieno di speranze, che dà avvio al futuro come il parto. Lo faccio perché non voglio far sentire sole le donne, le ostetriche e tutti coloro che si affacciano alla vita. Ogni nato sarà per me, per noi ostetriche, un pensiero positivo per quello che verrà, una luce che ci illuminerà nel tempo, e noi ostetriche vogliamo esserci».
«Quando ho deciso di intraprendere la professione di infermiere, ero consapevole che non avrei potuto più godermi il sabato, la domenica e le feste principali tra cui il Natale. Crescendo professionalmente ti rendi conto che tutti i giorni si equivalgono, ma la magia del Natale in ospedale non ha eguali. Gli interventi in urgenza devono essere eseguiti: i pazienti vengono preparati e così anche lo strumentario chirurgico deve essere pronto. Anche se abbiamo la famiglia a casa, se ne crea un’altra in ospedale con i colleghi che sono in turno e con i quali condividiamo lo stesso obiettivo, il benessere del paziente. La riuscita dell’intervento chirurgico è dettata dalle azioni dei diversi professionisti che si adoperano e ti ricordi che è Natale quando esci e l’intera città è illuminata. Per me fare l’infermiere è un onore è non c’è Natale, Capodanno, Pasqua che tenga, soprattutto in questo momento storico attanagliato dal Covid, dove l’attenzione è maggiore e i DPI indossati pesano come macigni. L’amore per la professione mi fa superare quelle che sono le gioie della condivisione delle feste con le persone a cui vuoi bene. Se così non fosse avrei fatto altro».
«Essere un infermiere vuol dire anche questo, perdere la possibilità di poter festeggiare le festività natalizie con i propri cari e familiari. Ho deciso di intraprendere questo percorso e sono consapevole anche del fatto di doverle trascorrere in reparto a lavorare con i pazienti. Ma noi non ci abbattiamo e il nostro spirito natalizio non viene a mancare. Tanto che quei giorni si passeranno a festeggiare con i pazienti e colleghi, tra le terapie e le flebo, tra un sondino o un catetere da inserire al volo. Perché essere infermieri vuol dire anche questo».
«Per queste feste natalizie la frase che più spesso ho sentito riecheggiare è stata “Quest’anno non mi sembra neanche Natale, non ho voglia di festeggiarlo”. E per un certo momento l’ho pensato anch’io. Io sono un’infermiera di neonatologia del Nuovo ospedale Santo Stefano di Prato e sono una mamma. Il Covid, l’anno difficile, le ferie revocate, la stanchezza… per un attimo anch’io ho pensato che Natale non fosse da festeggiare. Ho pensato di non avere lo spirito giusto. Ma mi sbagliavo. Quest’anno la notte di Natale sarò al lavoro. Assisterò bambini che necessitano di cure, accoglierò lo sfogo di mamme impaurite. Ma soprattutto farò da ponte fra quelle mamme e quei bambini che il Covid momentaneamente ha separato. La seconda ondata è stata pesante anche per noi, noi che non avevamo mai indossato una tuta, ci siamo ritrovati a spiegare l’allattamento al seno con la visiera calata sugli occhi, a fare videochiamate a mamme positive che per settimane non hanno potuto abbracciare i loro bambini, a gioire con quelle donne che finalmente erano negative e potevano trascorrere tutta la notte abbracciate ai loro figli. E magicamente mi rendo conto che lo spirito del Natale, nonostante la stanchezza, la delusione, è più vivo che mai. Le sensazioni in questo Natale sono tante e a volte contrastanti. Ma, forse più che mai, c’è la voglia di far star bene gli altri, c’è voglia di speranza che le cose possano andare davvero bene. C’è la voglia di chiudere la pagina di quest’anno funesto e ricominciare con un nuovo capitolo».
«Sono un’infermiera neolaureata, lavoro nel Covid center di Careggi a Firenze e in occasione dell’avvento del Natale abbiamo allestito e addobbato ogni suo angolo con luci di speranza. Siamo consapevoli di essere in un reparto di passaggio, di transizione, dove ognuno di noi ci sta mettendo tutto il cuore con sacrificio e totale devozione per un tempo indefinito. Creiamo forme con le luci natalizie, la musica classica e accendiamo le pareti con disegni di bambini dei colleghi che si sono dovuti allontanare dalle famiglie. È importante rendere questo ambiente familiare sia ai pazienti che per noi che vi passiamo la maggior parte del nostro tempo. Questo, il nostro reparto, ce lo ricorderemo in particolar modo sotto le festività natalizie e quando tutto questo finirà e ognuno tornerà nella propria casa, saremo sempre legati da questa splendida avventura che ci ha fatti incontrare e ci sta insegnando tanto a livello professionale e umano. Veniamo da vari setting operativi e chi come me dall’università, e anche se lavoriamo da poco tempo insieme è come se ci conoscessimo da sempre. A Natale essere felici è un diritto e noi nel nostro piccolo cerchiamo di fare la differenza».
«Il lavoro in Unità Spinale continua, anche nei periodi di festa. Sarò in servizio durante il periodo natalizio, come di consueto, ma quest’anno, data la particolare condizione, sarà ancora più importante. I miei pazienti, che durante la giornata sono impegnati in faticose attività riabilitative, purtroppo riceveranno le visite dei loro cari in maniera limitatissima, rispettando i massimi criteri di sicurezza. La presenza di noi operatori sarà fondamentale, anche per compensare la lontananza dagli affetti in un periodo di particolare sofferenza per loro. Ho la fortuna di risiedere con la famiglia e di essere costantemente sottoposto a controlli a lavoro, quindi, terminato il turno di servizio passerò le feste nel mio nucleo ristretto. Quest’anno, in attesa del vaccino e che la condizione migliori, niente serate con gli amici e momenti di convivialità in luoghi pubblici. Vivere le feste in maniera più riservata, sarà una buona occasione di riflessione».
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