Il rapporto uomo-natura al centro della diffusione di virus che fanno il salto di specie. Intervista ad Alessandro Miani, ricercatore all’università Statale di Milano e presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale
Inizia la campagna vaccinale contro l’epidemia da SARS-CoV-2: una buona notizia a lungo attesa dopo un anno davvero difficile. C’è chi, come Bill Gates, aveva previsto che nell’era della globalizzazione il mondo avrebbe sperimentato pandemie ben più gravi delle guerre, e così è stato; sfortunatamente, è giusto ammettere che il Coronavirus, proprio mentre siamo in vista della luce in fondo al tunnel, non è stata la prima grande epidemia che l’umanità abbia sperimentato e potrebbe non essere l’ultima.
Si sa che il nuovo Coronavirus ha potuto fare il suo salto di specie nei boschi della Cina, passando dai pipistrelli agli esseri umani: un dato scientifico su sembra esserci il consenso degli scienziati. «L’uomo negli ultimi cinquanta-settant’anni ha avuto uno sviluppo del proprio livello tecnologico e della popolazione che vive il pianeta Terra che è cresciuto con un ritmo mai visto nei secoli precedenti» afferma Alessandro Miani, ricercatore all’università Statale di Milano e presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale, raggiunto al telefono da Sanità Informazione: «Prima di questo ultimo secolo la natura e l’uomo hanno avuto dei reciproci e lunghissimi periodi di adattamento. L’introduzione in tempi strettissimi di sostanze di sintesi chimica che ovviamente consentono sviluppo, tecnologia, benessere, aumento dell’aspettativa di vita, sono andati a indebolire e invadere il piano ambientale. E così la specie umana che si introduce in un ambiente che non è il proprio non ha il modo di adattarsi progressivamente a nuove forme di vita e nuove forme di microorganismi».
L’occasione del colloquio con il professor Miani è stata la diffusione, da parte del Lancet, del «più esteso studio annuale sul cambiamento climatico» che, spiega la National Public Radio statunitense, ha radunato decine di medici e di esperti per certificare che «le ondate di calore, l’inquinamento atmosferico e i fenomeni meteorologici estremi danneggiano sempre più la salute umana». Si tratta di una tendenza nota ed estremamente discussa, e che ha però rilevanti effetti sullo sviluppo di questa e di altre pandemie: «Quasi tutte le patologie di origine virale», spiega Miani, «che hanno fatto il salto di specie, hanno potuto effettuarlo perché l’uomo sta invadendo territori che non dovrebbero essere suoi, o comunque non così velocemente. La nostra specie deve disboscare per avere più spazio coltivabile, questo deriva dal fatto che il numero degli uomini è aumentato così tanto che c’è bisogno di nuove e ulteriori risorse quanto ad allevamento, a colture, a spazio vitale; e i tempi che stiamo “proponendo” alla natura sono troppo brevi perché il rapporto fra uomo e ambiente possa adattarsi naturalmente».
Questa situazione non è soltanto un dato di contesto, ma ha diretti e sicuri impatti sull’organizzazione dei sistemi sanitari globali. Spiega Miani: «Se abbiamo demografiche più alte, se manteniamo come ovviamente è auspicabile in vita le persone più a lungo, gli diamo da mangiare più e meglio, gli diamo dei farmaci, l’età media sale. I sistemi ospedalieri allora si ristrutturano per potersi prendere carico di urgenze, cronicità e criticità soprattutto per quanto riguarda la popolazione anziana. Se invece c’è una richiesta improvvisa e convergente di decine di migliaia di posti letto contemporaneamente, è inevitabile che il sistema vada al collasso. I nostri sistemi sanitari hanno fiducia nella qualità della vita data dallo sviluppo e dalla tecnologia e non sono pensati per gestire shock del genere».
E allora, quale può essere un auspicio non solo di Capodanno ma degli anni a venire? Parrà strano, ma lavorare sull’ambiente e sulla sostenibilità è l’unica strada reale per minimizzare l’impatto di queste epidemie globali ed estreme. «Tutte le azioni che riguardano la riduzione dell’impatto dell’uomo sulla natura sono utili. L’Europa si sta muovendo nella direzione giusta e l’Italia onestamente è una buona fucina di idee e di scienza in questo senso, penso alle nostre università, ai centri di ricerca, alle startup innovative. La politica, in maniera bipartisan, dovrebbe oggi porre l’accento su queste urgenze lavorando sui fronti, ad esempio dei trasporti, della qualità dell’aria nei nostri edifici, spesso inaccettabile, e della produzione di energia da fonti rinnovabili».
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