Slittare le seconda dose fino a 12 settimane per vaccinare più persone possibile. Gli esperti si dividono: strategia azzardata o salvavita?
Pfizer-BioNTech e Moderna assicureranno 380 milioni di persone vaccinate al Covid-19 nell’Unione europea, circa l’85% del totale. La direttrice generale per Salute e sicurezza alimentare della Commissione europea, Sandra Gallina, ha voluto rassicurare tutti in audizione da Bruxelles. Saranno 600 milioni le dosi da Pfizer (utili per 300 milioni di persone) e 150 milioni quelle di Moderna (che copriranno 80 milioni di persone). Un acquisto, ha ricordato, fatto “a scatola chiusa” grazie agli Advanced Purchase Agreements, prima ancora che i vaccini fossero effettivamente approvati e con il rischio che questo non succedesse. «Non entro nelle polemiche – ha detto – ma non abbiamo comprato aspirine. Trovo le proteste sconcertanti».
L’Agenzia europea del farmaco Ema ha intanto ricevuto la richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio condizionata (Cma) per il vaccino prodotto da AstraZeneca. L’ente regolatorio Ue ha assicurato che «la valutazione procederà secondo una tempistica accelerata. Un parere sull’autorizzazione all’immissione in commercio potrebbe essere emesso entro il 29 gennaio durante la riunione del Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp), a condizione che i dati presentati sulla qualità, la sicurezza e l’efficacia del vaccino siano sufficientemente solidi e completi – si precisa nel comunicato – e che qualsiasi ulteriore informazione richiesta per completare la valutazione venga presentata tempestivamente».
Se la situazione in Europa sembra promettente, così non è in altri paesi del mondo dove le infezioni alle stelle hanno introdotto la necessità di “allungare le scorte di vaccini”. Come? Con dosi ridotte o modificando le campagne per i richiami consigliate dalle case farmaceutiche. Una possibilità al limite, sui cui rischi gli scienziati richiedono una valutazione.
Lo scorso 30 dicembre il Regno Unito ha annunciato che la seconda dose del vaccino Pfizer sarà consentita fino a 12 settimane dopo la prima. Nonostante, per prescrizione, sia indicata dopo tre. Con la variante inglese, più contagiosa e trasmissibile, il paese sta affrontando un nuovo lockdown e numeri che sfiorano i 70mila nuovi positivi giornalieri. In questo modo il governo spera di inoculare il prodotto a più persone possibile e attutire così l’ondata di virus che la sta travolgendo.
L’8 gennaio, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha raccomandato un’attesa non superiore a sei settimane tra la prima e la seconda dose del vaccino Pfizer. «Ciò non significa che sia una critica a ciò che il Regno Unito o qualsiasi altro paese sta facendo», ha chiarito il presidente del gruppo di esperti di immunizzazione, Alejandro Cravioto.
Anche negli Stati Uniti si è parlato di questa possibilità. Il team del Presidente neo-eletto Joe Biden sta pensando di non conservare sin da subito la seconda dose per i soggetti appena vaccinati. Moncef Slaoui, a capo dell’Operazione Warp Speed contro il coronavirus, ha suggerito che il vaccino Moderna potrebbe essere somministrato con metà della dose utilizzata nel più grande studio clinico fatto a riguardo. Anche se per ora la Food and Drug Administration (FDA) ha invitato a ulteriori approfondimenti.
Su Nature, un immunologo di Yale Akiko Iwasaki, ha spiegato come dal punto di vista immunologico ritardare il richiamo possa avere conseguenze anche positive. La seconda dose del vaccino Covid, come per altri prodotti simili, è necessaria per richiamare le cellule di memoria del sistema immunitario (le immunoglobuline G). Per generarle sono necessarie settimane in natura, così anche il sistema immunitario migliora la sua risposta al virus, diventando in grado «anche di fronteggiare delle varianti, e non solo la specifica proteina».
Un discorso valido specialmente per i vaccini che utilizzano vettori virali e virus inattivati. Questo tipo di vaccino può anche indurre le cellule a esprimere la proteina del coronavirus per settimane dopo la vaccinazione. Un richiamo somministrato troppo presto potrebbe arrivare mentre la risposta iniziale del sistema immunitario è ancora in corso e le cellule di memoria non sono ancora stabilite. È stata l’ipotesi di un’immunologa dell’Istituto Wistar di Philadelphia, Hildegund Ertl.
I vaccini che utilizzano vettori virali includono Sputnik V, dalla Russia, e il vaccino sviluppato da AstraZeneca e dall’Università di Oxford. Grandi studi clinici del vaccino AstraZeneca, che è stato autorizzato nel Regno Unito e in India, hanno aspettato da uno a tre mesi prima di somministrare il richiamo, e i dati suggeriscono che intervalli più lunghi hanno migliorato i risultati.
È meno chiaro invece se un intervallo più lungo possa cambiare l’efficacia dei vaccini a base di mRna, come quelli di Pfizer e Moderna. Non basandosi sui virus per trasportare materiale genetico nelle cellule, questi le inducono a produrre la proteina del coronavirus solo per pochi giorni dopo la vaccinazione. I dati degli studi clinici suggeriscono che i destinatari traggono una protezione significativa dalla prima dose di questi vaccini, ma non ci sono sufficienti dati sulla seconda dose perché tutti i volontari l’hanno ricevuta entro un mese.
Alcuni esperti hanno esposto anche il timore che una sola dose di vaccino possa produrre livelli molto bassi di anticorpi e questo possa incoraggiare l’emergere di nuove varianti del virus resistenti al vaccino. Ma altri invece sostengono sia molto improbabile, in quanto il corpo produce un mix di anticorpi mirati dopo lo shot di vaccino. Sarebbe molto difficile che una variante di SARS-CoV-2, per quanto in parte meno sensibile al vaccino, possa rivelarsi totalmente immune al riconoscimento da parte degli anticorpi. «Specie per un virus che muta così lentamente», ha spiegato la virologa Sarah Cobey dell’università di Chicago. «Se dovessi piazzare una scommessa, farei quello che sta facendo il Regno Unito», ha detto.
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