Troppi mesi in didattica a distanza hanno fatto emergere disagi psicologici importanti nei più giovani. Lo psicologo Alessandro Ricci (esperto “Scuola” OdP Lazio): «Arrivano l’apatia, la noia, la demotivazione. In alcuni comportamenti aggressivi, forti stati d’ansia e depressione»
Riportare tutti i ragazzi sui banchi di scuola come priorità del nuovo anno. Lo hanno annunciato, senza mezzi termini, esperti e politici. Lo hanno richiesto a gran voce i ragazzi, in protesta di fronte a istituti e licei chiusi da mesi. Anche la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, prima fervida sostenitrice della didattica a distanza, ha osservato giorni fa che «non funziona più». «Sono molto preoccupata – ha detto – la Dad non va più bene. I ragazzi non riescono a sfogare il loro bisogno di socialità, bisogna farli tornare in classe».
Rapporto diretto, conversazioni con gli insegnanti, diritto a una scuola “normale” il più possibile. In questi giorni, gli alunni delle scuole superiori hanno organizzato proteste “protette”, distanziati e con la mascherina, e hanno fatto queste richieste ai governatori delle proprie regioni. Mentre in Abruzzo, Toscana e Valle d’Aosta i ragazzi più grandi sono rientrati, in Liguria, Lazio, Puglia, Molise e Piemonte la data di ritorno è slittata al 18 gennaio e Lombardia, Campania, Emilia Romagna e Umbria al 25 gennaio. Tutte le altre direttamente il 1 febbraio.
Un ritardo dovuto alla situazione epidemiologica in Italia, che non accenna a migliorare. Nonostante i dati sui contagi a scuola mostrino che si è riusciti a controllare la diffusione del virus sui banchi di scuola durante i mesi duri della seconda ondata: un report recente dell’Istituto Superiore di Sanità ha calcolato 3.173 focolai di Covid-19 nelle scuole dal 31 agosto al 27 dicembre. Il 2% del totale, e per la maggior parte tra ragazzi compresi tra 14 e 18 anni (40%).
In più dietro il timore del contagio e i tanti giorni in casa a seguire lezioni dal pc sono emersi i disagi psicologici che i ragazzi affrontano ogni giorno. Nuove ansie, senso di abbandono, reazioni aggressive che sono conseguenze dirette dell’aver trasportato tutta la loro vita attiva dentro un computer. Sanità Informazione ha raggiunto lo psicologo e psicoterapeuta Alessandro Ricci, esperto dell’area “Scuola” per l’Ordine degli psicologi del Lazio che sta seguendo da vicino la situazione.
«La pandemia va contenuta, certo. Ma anche la psiche dei ragazzi sta pagando le conseguenze di isolamento e assenza fisica dalla scuola e va preservata» dice di fronte ai dati. Tutto comincia dalla Dad e dalla solitudine alla quale i più giovani si sentono costretti. «Arrivano poi l’apatia, la noia, la demotivazione – insiste Ricci -. In alcuni, il disagio sta sfociando in comportamenti aggressivi o in forti stati d’ansia e in alcuni casi depressione».
Tutto il giorno di fronte a uno schermo, in cui anche la scuola adesso è contenuta, aumenta inoltre «una tendenza a dipendere dalla tecnologia che era già in atto». Anche se non tutti reagiscono con disagi rilevanti, chiarisce l’esperto, «tutti stanno vivendo una fatica per aver rotto da così tanto con il loro quotidiano».
Indipendentemente dalla difficoltà che anche prima della pandemia rilevavano nel confrontarsi con la scuola, i ragazzi sono diversi di fronte alla Dad. «Il principale problema rilevato è la difficoltà di concentrazione – fa presente Ricci – che è inevitabile in una situazione simile. Qui solo gli insegnanti possono essere la chiave di volta, modificando le loro modalità per adattarsi all’online».
Non sono infatti solo i ragazzi che affrontano un cambiamento mai visto prima. Anche i loro professori e maestri hanno il dovere di reinventarsi per aiutarli in questo passaggio importante. «Le mobilitazioni di questi giorni significano che i ragazzi hanno riscoperto l’importanza della scuola come elemento di sanità psicologica, abbiamo il dovere di stare loro vicino come adulti» specifica lo psicologo.
«Per gli insegnanti il consiglio è quello di non ripetere in Dad quello che si faceva a scuola in presenza, non affannarsi a completare i programmi e ad accelerare. Invece vanno creati momenti brevi di lezione intervallati da momenti di socialità in cui chiedere ai ragazzi come stanno e come si trovano, così da mantenere alto l’interesse». E poi, non solo spiegazioni: «Vanno fatte sessioni più brevi, alternandole con la visione di un video o di una presentazione. Si può arricchire la Dad con gli strumenti multimediali che questo metodo permette». Uno sforzo che l’esperto consiglia per riuscire a riavvicinarli tutti, specie i ragazzi con più difficoltà che «si sentono ancora più isolati da remoto e diventano più difficili da seguire in modo mirato».
«La scuola – insiste lo psicologo – non è di per sé un luogo di contagio: arrivare a scuola con i mezzi però è un problema. Una soluzione va trovata lì, magari anche proponendo una didattica mista finché la situazione epidemiologica lo richiede». Che i ragazzi stiano soffrendo è innegabile: Ricci chiede di ascoltare le loro richieste e rassicurarli nel confronto giornaliero.
«È importante – prosegue – che questo periodo difficile, con la scuola in Dad e la socialità limitata, non si presenti ai più giovani come un “periodo perso”. La scuola c’è, la frequentano ancora solo in un nuovo modo. Partecipano anche loro alla gestione dell’emergenza, questo non va nascosto». Di fronte alla loro sofferenza va sempre offerta un’osservazione positiva e un momento di ascolto.
«Ascoltiamo sempre le difficoltà dei ragazzi – conclude l’esperto – affrontiamoli con loro, con comprensione ed empatia. Regaliamogli sempre, come genitori e insegnanti, una prospettiva di speranza: la certezza che questa situazione finirà e che loro non avranno perso nulla. Solo affrontato un momento diverso con grande coraggio».
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