Il regalo più atteso, Minghetti (Migep): «Chiediamo il riconoscimento tra le professioni dell’area socio-sanitaria per regolamentare competenze, posizione economica e formazione e un registro regionale con iscrizione obbligatoria contro l’abusivismo»
Il 22 febbraio gli Operatori socio-sanitari italiani (OSS) spegneranno venti candeline, per festeggiare la fine del secondo decennio di carriera. La figura dell’Oss è stata istituita dalla Conferenza Stato-Regioni con un accordo tra i ministeri della Sanità e per la Solidarietà Sociale, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
Ed è dallo stesso anno, il 2001, che la categoria chiede di essere riconosciuta tra le professioni dell’area socio-sanitaria: «Da quel momento – commenta Angelo Minghetti, coordinatore nazionale del Migep e vicesegretario di Human Caring, sindacato professionale OSS – non abbiamo mai smesso di avanzare questa nostra richiesta, ribadendo la nostra posizione in più occasioni: nel 2010 abbiamo preso parte ad tavolo tecnico sul ruolo, funzioni formazione e programmazione del fabbisogno dell’operatore socio-sanitario con l’allora ministro della Salute Ferruccio Fazio. Due anni dopo abbiamo firmato un documento sulla formazione e dal 2010 al 2017 ci siamo dedicati all’organizzazione di molti convegni, per essere invitati al Forum Risk Management da 5 anni come attori del sistema salute, insieme a tutte le altre professioni sanitarie, affinché anche la nostra professione potesse rientrare nella legge Lorenzin. Ma senza risultati. Successivamente – continua Minghetti – abbiamo presentato dei ricorsi al Tar per essere ammessi nell’area socio-sanitaria, con esiti ancora una volta negativi. Alla fine del 2020 una deputata ha proposto un’interrogazione parlamentare per la revisione del nostro percorso formativo, con una netta vincita del “no”. Altri emendamenti, presentai da senatori e deputati di diverse forze politiche, sono stati ugualmente rigettati».
La formazione dell’OSS è attualmente di competenza delle singole Regioni italiane che, a seguito di un percorso formativo di mille ore, rilasciano l’attestato di qualifica professionale da Operatore socio-sanitario. «La formazione – sottolinea Minghetti – non è regolamentata ed è gestita in maniera differente a seconda dell’Ente o della Regione che la promuove, con il rischio che vengano rilasciati attestati falsi o non validi ai fini concorsuali. La mancanza di linee guida nazionali, di controlli sulla formazione, non assicura, dunque, una preparazione equa ed equilibrata su tutto il territorio nazionale».
Nel 2019, gli OSS, insieme alla Fnopi, hanno costituito un gruppo di lavoro per proporre un percorso di formazione unico in tutto il territorio nazionale. «L’obiettivo – spiega il vicesegretario di Human Caring – è di estendere la formazione a 1600 ore, equiparandola al resto d’Europa, sia in termini di contenuti teorici, che pratici (tirocinio e stage). Inoltre, vorremmo ridefinire in modo puntuale competenze, attività, ambiti operativi e responsabilità, nonché le modalità di inserimento nei differenti contesti operativi. Un registro regionale, con iscrizione obbligatoria, permetterebbe di prevenire e controllare l’abusivismo».
Il riconoscimento dell’OSS tra le professioni dell’area socio-sanitaria permetterebbe di rivedere il percorso formativo e non solo. «Potremmo ottenere una rivalutazione del trattamento economico ed una revisione delle mansioni, ottenendo maggiore chiarezza sui compiti specifici dell’OSS», spiega Minghetti.
Con la sua istituzione, l’OSS ha convogliato, progressivamente, le precedenti figure che si occupavano di assistenza di base, sia nell’area sanitaria (l’Operatore tecnico-assistenziale e l’Assistente di base), che nell’area sociale (Ausiliario socio-assistenziale e Assistente domiciliare). «Svolge un’attività di cooperazione e collaborazione, aiuta le persone a soddisfare i propri bisogni primari, dall’alimentazione, all’igiene personale, alla deambulazione – aggiunge il sindacalista -. Trasporta materiali biologici, rileva parametri vitali, effettua piccole medicazioni, può aiutare nella somministrazione della terapia orale».
Le mansioni quotidiane svolte dall’OSS lo mettono sempre a stretto contatto con i pazienti, tanto che anche l’Operatore socio-sanitario, impiegato in specifici reparti, si è ritrovato fianco a fianco ai contagiati da Covid-19. «Moltissimi colleghi hanno contratto il coronavirus sul proprio posto di lavoro – sottolinea Minghetti – alcuni di loro (sono circa 30 gli OSS che hanno perso la vita dall’inizio della pandemia) non ce l’hanno fatta a superare la malattia. Le criticità maggiori sono state riscontrate nelle Rsa, luoghi in cui il numero di OSS è, non di rado, nettamente maggiore a quello degli infermieri. In questi contesti è stato, spesso, molto difficile reperire i dispositivi individuali di protezione, esponendo a grossi rischi personale e pazienti. Anche in questa occasione ci siamo rimboccati le maniche, cercando di far rispettare i diritti degli ospiti-utenti e degli operatori, attraverso denunce ai Nas ed esposti alla Procura. Abbiamo continuano a prestare la nostra assistenza, nonostante le difficoltà. Sperando – conclude il sindacalista – che questo nostro impegno ottenga quanto prima i riconoscimenti che l’operatore socio-sanitario merita, dall’inserimento nell’aerea socio-sanitaria, all’aggiornamento continuo, fino agli stessi diritti delle altre professioni del sistema salute».
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