Disservizi, esclusione, aumento della povertà e rinuncia alle cure. L’altra faccia della pandemia che ha caricato il Sistema sanitario nazionale lasciando agli italiani solo due scelte: un’attesa a volte senza data di fine o il rivolgersi alla sanità privata
«Potremmo assistere ad un aumento esponenziale delle disuguaglianze, come mai prima d’ora». Così Gabriela Bucher, direttrice di Oxfam International, in occasione dell’ultimo rapporto Disuguitalia 2021. I 10 uomini più ricchi d’Italia hanno visto la loro ricchezza aumentare di 540 miliardi di dollari da inizio pandemia. I più poveri per riprendersi dalle catastrofiche conseguenze economiche della pandemia potrebbero impiegare più di 10 anni.
Circa 10 milioni di nostri concittadini più poveri, con un valore medio del risparmio non superiore a 400 euro, non avevano nessun cuscinetto finanziario per resistere autonomamente allo shock pandemico. La crisi ha spaccato in due l’Italia. Lo confermano due indagini qualitative della Banca d’Italia condotte nel corso del 2020. In seguito al primo lockdown, metà delle famiglie italiane dichiarava di aver subito una contrazione del proprio reddito ed il 15% di aver visto dimezzarsi le proprie entrate, con solo il 20% dei lavoratori autonomi che non aveva subito contraccolpi. A fine estate nel 20% delle famiglie con figli minori di 14 anni uno o tutti e due i genitori avevano ridotto l’orario lavorativo o rinunciato al lavoro per accudirli. Mentre il 30% dichiarava di non disporre di risorse sufficienti per far fronte a spese essenziali nemmeno per un mese, in assenza di altre entrate.
La pandemia ha potentemente rivelato, esacerbandoli, gli ampi divari preesistenti: la salute, l’accesso alle cure e ad un’istruzione di qualità, vecchie vulnerabilità si sono acuite e sommate a nuove fragilità, con conseguenze allarmanti per il benessere dei cittadini, l’inclusione, la coesione sociale e principalmente la salute.
Tra marzo e dicembre 2020, 27,9 milioni di italiani che avevano in programma una visita, esame od operazione presso una struttura sanitaria, hanno subito uno o più rinvii. Di questi, circa 13 milioni si sono invece visti annullare del tutto una o più visite, esami od operazioni. Questo quanto emerge dal Report Sanità elaborato dalle società di ricerca Mup Research e Norstat (su dati comparati e assicurativi, commissionati da facile.it), dove si legge che “mediamente” il rinvio delle prestazioni sanitarie è stato di quasi due mesi (53 giorni).
Fra chi ha subito un rinvio o un annullamento, il 30,2% degli intervistati ha poi scelto di svolgere il controllo in struttura privata, il 31% in struttura pubblica, ma soprattutto, per il 38,8% l’esame è stato annullato senza alcuna riprogrammazione. Chi ha potuto, disponendo di risparmi, ha fatto ricorso alla sanità privata. È necessario notare come 2.180.000 pazienti abbiano dovuto ricorrere a un prestito ottenuto da amici, familiari o finanziarie. Il ricorso ai prestiti è più frequente tra i rispondenti residenti al Sud e nelle Isole.
Dall’osservatorio di Prestiti.it si evince che nel 2020 l’importo medio richiesto da chi ha presentato domanda di prestito personale per far fronte a spese mediche è stato pari a 6.145 euro, da restituire in 53 rate (circa 4 anni e mezzo). Quindi, le fasce più fragili hanno subito la ricaduta più significativa, se non la più drastica: 3 milioni di italiani hanno definitivamente rinunciato a curarsi per difficoltà economiche.
Per dare una lettura più esplicita di questi dati è necessario rifarsi ai numeri forniti dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Istat. Nel periodo di osservazione dell’epidemia di Covid-19 (febbraio-novembre 2020) si stimano complessivamente circa 84mila morti in più rispetto alla media del 2015-2019. I decessi di persone positive al Covid-19 registrati dalla Sorveglianza integrata riferiti allo stesso periodo sono 57.647 (il 69% dell’eccesso totale). Pur ammettendo possibili errori e imprecisioni nei calcoli della mortalità da Covid-19, buona parte della differenza, circa 25-27 mila decessi, sono da assegnare all’impatto indiretto che il virus ha avuto sul mancato accesso alle cure, agli screening e diagnosi precoci di altre patologie.
Tra il 2009 al 2017 il Servizio sanitario ha perso circa 46.000 tra medici e infermieri. È previsto un piano del ministro della Salute Roberto Speranza per recuperare tale deficit, con l’assunzione di 61.000 sanitari. Questo ha complicato non poco la capacità di risposta del nostro Ssn. A livello sanitario i ritardi hanno riguardato tutte le specialità da gastroenterologia a urologia (rispettivamente con l’81,2% e il 75% di pazienti che hanno subito ritardi o annullamenti su visite, esami od operazioni già programmate), ma anche patologie molto gravi non sono state esenti da questo fenomeno e, ad esempio, hanno subito ritardi o annullamenti il 61,1% dei pazienti cardiologici ed il 47,2% di quelli oncologici.
L’intesa privatizzazione, dagli ospedali alle case di cura, ha significativamente degradato la capacità di affrontare efficacemente Covid-19. Questo quanto emerge dal Report Corporate Europe Observatory. Nell’ultima decade, 2010-2020, le strutture sanitarie private in Italia hanno ricevuto dallo Stato dal 30% al 50% dei fondi pubblici, finendo per sottrarre alla sanità pubblica quei miliardi indispensabili per la presa in carico dei pazienti. Con l’esplodere del Covid, gli ospedali sono stati per tutti l’unico luogo a cui rivolgersi.
«Le strutture private, soprattutto in Lombardia, hanno assorbito un numero crescente di risorse per fornire prestazioni ad alta remunerazione con investimenti bassi», ci spiega Pina Onotri, segretario generale dello Smi (Sindacato medici italiani). La lezione lombarda non è un semplice racconto di “cattivi” incentivi al profitto, dice Rafaella Sadun, della Harvard Business School. Invece, era l’endpoint logico di un sistema che aveva consentito a quegli incentivi di distorcere le priorità dell’assistenza sanitaria per un lungo periodo di tempo.
Su 5300 posti letto di terapia intensiva solo 800 erano in strutture private, circa il 15% del totale, un numero esiguo per riuscire ad avere un ruolo significativo in questa emergenza. Alcuni rari casi di strutture private, come il policlinico Agostino Gemelli di Roma, sono stati trasformati in Covid Center alleggerendo il carico sulle strutture pubbliche, consentendo a più cittadini di accedere ai trattamenti necessari contro il Covid. La quasi totalità dell’impatto della pandemia è stato preso in carico dal sistema pubblico. Le disuguaglianze hanno ulteriormente frammentato il nostro Paese.
Alla fine del mese di giugno 2019 la distribuzione della ricchezza nazionale netta vedeva il 20% più ricco degli italiani detenere quasi il 70% della ricchezza nazionale, il successivo 20% (quarto quintile) essere titolare del 16,9% della ricchezza, lasciando al 60% più povero dei nostri concittadini appena il 13,3% della ricchezza nazionale. «L’aumento delle disuguaglianze non è un fenomeno inevitabile, tutt’altro – conclude Gabriela Bucher -, ma dipende dalle scelte politiche dei governi».
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