Il presidente dell’Osservatorio violenza e suicidio Callipo: «Tra i più giovani, questi giochi possono trasformarsi in mezzi di autogratificazione o autoaffermazione all’interno del gruppo dei pari»
Non i calciatori più forti e in salute, ma i vip più anziani e acciaccati. Sono questi i componenti più ambiti delle squadre del Fantamorto, che con il celebre gioco del Fantacalcio ha in un comune solo la prima metà del nome. Per partecipare al “campionato”, inaugurato, probabilmente non a caso, il 2 novembre di ogni anno (giorno della commemorazione dei defunti) è sufficiente comporre una “squadra” costituita da dieci “morituri”, da scegliere tra politici, attori, cantanti, atleti, italiani o stranieri, che si presume possano morire nei successivi 365 giorni.
«Nel Fantomorto, a differenza di alcune challenge tragicamente finite sulle prime pagine dei giornali – spiega Stefano Callipo, psicologo clinico e giuridico, psicoterapeuta, presidente dell’Osservatorio violenza e suicidio e referente di psicologia dell’emergenza dell’Ordine degli psicologi del Lazio – si gioca con la morte altrui. Mentre la fire challenge, una sfida che consiste nel cospargersi di sostanze infiammabili e che a Londra ha già mietuto diverse vittime, provoca una certa adrenalina, giochi come il Fantamorto possono attrarre anche giovani meno inclini alla ricerca del pericolo».
Ma se con le challenge più estreme si mette a rischio la propria vita, quali possono essere le conseguenze di un gioco che non mette a repentaglio l’incolumità fisica del partecipante, come il Fantamorto? «A livello psicologico – risponde Callipo – le conseguenze negative non sono affatto trascurabili. Giocando con la morte altrui, l’adolescente può trovarsi coinvolto e attratto da una sfida, dove il pericolo reale non viene percepito, rischiando anche una normalizzazione del concetto di morte, alterando la sua percezione del rischio. Inoltre, il Fantamorto, per le sue caratteristiche, può coinvolgere un numero elevato di persone, richiamando l’attenzione anche di coloro che, normalmente, non sono attratti dai “giochi pericolosi”, proprio per le sue specifiche caratteristiche. Ad ogni modo, va puntualizzato che la percezione del pericolo di un adolescente è diversa da quella di un adulto, così come il concetto di morte di un bambino di dieci anni sarà diverso. Di conseguenza – aggiunge l’esperto – un ragazzino che pratica atti di autolesionismo, partecipando ad una challenge estrema, non ha un’intenzione autolesionista o di arrivare al suicidio. Il suo fine è il divertimento, l’adrenalina pura».
Spesso non ci si limita a giocare: le singole sfide e i loro esiti diventano parte integrate della vita di un individuo. «Questi giochi sono al centro dei dialoghi tra i giovani, tanto da poter diventare un mezzo di autogratificazione. Vincere una sfida – continua lo psicoterapeuta – può significare soddisfare il bisogno di affermare se stessi nel gruppo dei pari e all’interno della società di cui si fa parte. E tutto avviene in tempi rapidissimi, tanto che la velocità del web ne rende incontrollabile la diffusione».
Le restrizioni di accesso non sono sufficienti ad impedire che soggetti estremamente giovani mettano le mani su contenuti web del tutto inadatti alla loro età: «Se da un lato è vero che eludere i controlli può essere “un gioco da ragazzi” – dice lo psicologo -, dall’altro è altrettanto vero che concedere l’accesso dai 14 anni in su significa coinvolgere ragazzini non ancora in grado di proteggersi dai rischi che si celano nei giochi e challenge online di cui stiamo discutendo. Sono progettati da curatori adulti che ben conoscono il funzionamento della mente umana e i potenziali effetti che certe attività possono avere su di essa».
I giochi sono sempre aggiornati ed adatti a contesti e momenti storici: quest’anno, ad esempio, gli organizzatori del Fantamorto (l’Associazione italiana Fantamorto-Aifm), hanno arricchito la sfida con il “bonus pandemia”, che offre la possibilità di aumentare il proprio punteggio indovinando quale vip sarà contagiato dal Covid-19. «La pandemia non solo ha creato nuovi contesti di gioco, ma ha anche aumentato le ore trascorse in rete – sottolinea lo psicoterapeuta – permettendo ai giovani di esplorare contesti che, in situazioni di normalità, non avrebbero scoperto. D’altro canto, anche i curatori hanno approfittato del momento per lanciare sfide e giochi sempre nuovi».
«Certo, ma non con la repressione, sequestrando smartphone, tablet e pc dei nostri figli o limitando l’accesso alla rete. Piuttosto, sarebbe necessario condividere con loro i momenti di navigazione, o quanto meno trovarsi nella stanza per controllare i contenuti a cui accedono, guidandoli verso siti più sicuri e orientandoli ad una corretta interpretazione di ciò che si legge». Anche tra le righe. All’articolo 8 del regolamento del Fantamorto i curatori specificano: “Non è concesso in alcun modo ai partecipanti al gioco di rendersi parte attiva nel conseguimento dei punti, né direttamente né per interposta persona”. Come se l’omicidio o l’esserne complici non fossero reati già puniti dal nostro codice penale e contrari alla morale di qualsiasi civiltà.
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