Pontillo (psicoterapeuta): «I giovani che decidono di togliersi la vita lo fanno consapevolmente: vedono nel suicidio l’unica via d’uscita. Tagli e bruciature sono gli atti di autolesionismo più utilizzati. Chi tenta il suicidio lo fa pianificando una defenestrazione o imbottendosi di farmaci»
Nei film rivivere continuamente la medesima giornata, la stessa ora, è spesso uno strumento per arrivare ad una conoscenza superiore. Phil Connors, il protagonista di Ricomincio da capo, risvegliandosi sempre nello stesso giorno, attraversa una profonda depressione, tenta più volte il suicidio, ma alla fine scopre i suoi talenti e capisce i bisogni altrui, diventando un uomo migliore. Anche nella vita reale la sensazione di essere in un loop temporale può indurre alla pianificazione di un gesto estremo. Ma le possibilità di riscattarsi che si hanno a disposizione non sono infinite come quelle concesse a Phil. È accaduto a Sara (il nome è di fantasia) che, dopo un tentativo di suicidio, ricoverata nel reparto di psichiatria dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, ha cominciato a costruire la sua seconda possibilità. «La sensazione di vivere sempre lo stesso giorno è stata una delle prime sensazioni descritte dalla piccola paziente», racconta Maria Pontillo, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale presso il servizio di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’ospedale della Santa Sede.
Come Sara, nel corso del 2020, oltre 300 adolescenti hanno varcato la soglia del pronto soccorso del Bambino Gesù dopo aver tentato un gesto estremo o di autolesionismo. «Dall’inizio della seconda ondata – dice la psicoterapeuta – gli accessi sono aumenti del 30% e coinvolgono giovani con disturbo psichiatrico tra i 12 e i 18 anni». Un picco di richieste di aiuto che ha saturato il reparto di psichiatria dell’ospedale pediatrico: in alcuni momenti i letti sono stati occupati esclusivamente da piccoli pazienti che avevano tentato il suicidio. «Gli adolescenti che decidono di togliersi la vita – commenta Pontillo – lo fanno consapevolmente: vedono nel suicidio l’unica via d’uscita ai loro problemi».
Tagli e bruciature sono gli atti di autolesionismo più utilizzati: «C’è chi si munisce di un apposito coltellino, chi, per procurarsi dei tagli, si accontenta di mezzi di fortuna come un temperino – racconta Pontillo -. Chi, ancora, si brucia utilizzando le sigarette. In ogni caso, le parti del corpo che più frequentemente vengono prese di mira sono gli arti inferiori e superiori. Chi tenta il suicidio, invece, lo fa pianificando una defenestrazione o imbottendosi di farmaci. Non si tratta solo di medicinali di difficile reperibilità, come possono esserlo gli psicofarmaci, ma anche di farmaci generalmente presenti in tutte le case, come il paracetamolo. Nel tentativo di togliersi la vita, gli adolescenti ne assumono una quantità massiccia in un’unica dose».
I gesti estremi, compiuti da mani giovanissime, purtroppo, non sono una novità dei nostri tempi. «La pandemia ha senza dubbio causato un incremento dei casi – sottolinea la psicoterapeuta -, ma il disagio e il disturbo mentale in adolescenza sono sempre esistiti. Potremmo, piuttosto, considerare l’emergenza da Covid-19 come un fattore “slatentizzante”, cioè capace di far emergere fragilità pre-esistenti». Gli esperti del Bambino Gesù, oltre ad aver stimato l’aumento percentuale degli accessi al pronto soccorso di giovani che hanno tentato il suicidio o che hanno praticato atti di autolesionismo, ne hanno anche indagato le cause. «Il nostro studio – spiega Pontillo – ha evidenziato che la pandemia ha influito sullo sconvolgimento della routine. La maggior parte dei piccoli pazienti ha lamentato un senso di destabilizzazione scaturito da un’alternanza poco chiara di scuola in presenza o a distanza, dalla mancanza di spazi fisici condivisi con i propri coetanei e dall’impossibilità di praticare sport o hobby di gruppo. Il tempo trascorso esclusivamente in casa appare statico, privo di stimoli».
Il ricovero in ospedale non è la soluzione, ma un passaggio per prepararsi a ricominciare. «Superata la fase acuta, necessaria a ripristinare le condizioni fisiche adeguate – dice la specialista – l’adolescente viene accolto con la sua famiglia per cercare spiegazioni su quanto accaduto. Il tentativo di suicidio o gli atti di autolesionismo sono le punte di un iceberg che può celare stati di depressione, psicosi, disturbi dell’umore, disturbi psichiatrici gravi. La degenza presso il reparto di psichiatria dura, in media dai 5 ai 10 giorni. È necessario che l’adolescente elabori “l’evento ricovero”, per poi scovare le proprie fragilità e prepararsi a ripartire per un progetto di vita nuovo che, nel tempo, lo condurrà alla completa autonomia. Il percorso, dunque, è strutturato in tre diverse fasi: accoglienza, diagnosi e prescrizione. Molto spesso si utilizza un approccio integrato con uso di farmaci, qualora siano necessari, e psicoterapia individuale e familiare».
Se il disagio adolescenziale non è tempestivamente ed adeguatamente trattato può cronicizzarsi in età adulta. «Un terzo degli adulti con problemi psichici sviluppa i suoi disagi in adolescenza, prima dei 18 anni. Intervenire precocemente, attraverso un percorso terapeutico adeguato – sottolinea Pontillo -, può ridurre questa percentuale. È necessario vigilare sui più giovani, prestando attenzione a qualsiasi cambiamento di umore, emotivo e comportamentale. Il tentativo di suicido o gli atti di autolesionismo sono gesti estremi frutto di un disagio precedente. Prima si offrono gli strumenti e le risorse adeguate a superare i problemi, maggiore sarà la probabilità di evitare gesti estremi».
Perché se nel film “Ricomincio da capo” il protagonista può tentare il suicido e risvegliarsi un numero infinite volte nello stesso giorno, nella vita reale indietro non si torna. Anche in una routine sempre uguale il pensare al presente lo rende già passato. Ma come Phil che, capendo come migliorare se stesso esce dall’incantesimo e trova il vero amore, così Sara (e tutti i giovani come lei) possono fare tesoro della loro esperienza e “ricominciare da capo”.
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