Daniele ha 14 anni. Ha ricevuto la diagnosi definitiva di distrofia muscolare di Duchenne quando ne aveva soltanto uno. Ha dovuto compierne dieci per avere la possibilità di partecipare ad un trial clinico. A Sanità Informazione, il racconto di papà Fabio: «Un trial non è la soluzione, ma un’opportunità a cui non ci si può sottrarre»
Vivere sapendo che la malattia del proprio figlio è rara tra le rare e che, per questo, non ci sono possibilità né di cura, né di trattamento. Trascorrere le proprie giornate sperando che i progressi della scienza vadano più veloci dell’infanzia di un bambino. È così che Fabio, padre di Daniele affetto dalla distrofia muscolare di Duchenne, ha passato dieci anni della sua vita. Poi, quattro anni fa è arrivata la notizia tanto attesa: Daniele ha la possibilità di partecipare ad un trial clinico. Anzi, i suoi genitori devono scegliere tra due proposte giunte contemporaneamente. «Si è accesa una luce di speranza – racconta papà Fabio, genitore e responsabile Patients advocacy di Parent Project Aps -. Fino a quel momento non avevamo che potuto osservare la malattia progredire, senza la possibilità di curarla o quanto meno di rallentarne l’evoluzione».
Ma anche scegliere di far partecipare il proprio figlio ad un trial clinico non è una decisione semplice. «Il trial clinico è una prova – dice Fabio -. Non è detto che funzioni, né che gli effetti collaterali siano tollerabili». Ma rinunciare a priori avrebbe immediatamente spento quella luce di speranza che aveva appena illuminato la famiglia di Daniele. «Dopo un bilancio tra i possibili benefici e tutte le difficoltà che, inevitabilmente, avremmo dovuto affrontare abbiamo scelto il trial clinico che ci sembrava più appropriato per nostro figlio e che prevedesse una terapia dalla somministrazione domiciliare. Anche Daniele è stato coinvolto direttamente nella scelta: ha ricevuto la sua diagnosi ad un anno di vita ed è ormai abituato a comprendere i discorsi che ruotano attorno alla sua malattia», sottolinea il padre.
Era all’asilo quando ha cominciato a cercare le sue prime risposte, quelle motivazioni che potessero chiarire la sua “diversità”: «Papà, perché corro più piano degli altri, perché i miei muscoli fanno i capricci, perché le mie gambe si stancano e perché cado così spesso?», chiedeva Daniele già nei suoi primi anni di vita. «Abbiamo sempre cercato di fornirgli delle spiegazioni adeguate alla sua età», racconta papà Fabio. Intanto la vita di Daniele è andata avanti, costellata di controlli medici periodici e terapie riabilitative. «Daniele è uno studente modello, ama il teatro ed ha imparato a focalizzarsi sulle sue abilità, piuttosto che lamentarsi delle sue disabilità. È un fratello maggiore eccezionale, capace di usare il pungo duro più di me con i fratellini di 4 e 7 anni – racconta papà Fabio -. È diventato un ragazzo responsabile e paziente, tanto che, durante l’ultima visita di controllo prevista dal trial clinico, ha risposto lui stesso, in piena autonomia, alla proposta del medico di partecipare a due studi osservazionali. Solo dopo aver accettato, ha guardato verso di me, cercando la mia approvazione».
Daniele, accettando di partecipare anche a studi che non gli porteranno un diretto beneficio, ha dimostrato di comprendere il grande valore della ricerca scientifica. «Partecipare ad un trial clinico è un’opportunità, non di certo una soluzione. Ma anche da un fallimento la ricerca può trovare una nuova strada più efficace su cui avanzare. Quindi – sottolinea Fabio – decidere di prenderne parte significa contribuire al benessere della comunità, non soltanto a quello individuale. Ma chi prende questa decisione, poi – avverte papà Fabio – deve avere il coraggio di portarla fino in fondo, non facendosi né logorare da false speranze, né da visioni pessimistiche. Ci vuole realismo, insomma».
Ed è proprio per guidare tutti i genitori verso una scelta consapevole che, oggi, durante la terza giornata della 18ma edizione della Conferenza internazionale sulla distrofia muscolare di Duchenne e Becker, organizzata da Parent Project, è stata presentata una video animazione sul tema dei trial clinici vissuti dal punto di vista della famiglia.
Oggi nonostante tutte le difficoltà affrontate, tornando indietro, Fabio farebbe la stessa scelta: «La malattia di Daniele sembra avere una progressione più lenta: riesce ancora a camminare con le sue gambe, anche se per andare a scuola o per percorrere lunghi tratti ha bisogno della carrozzina. È lui a decidere, in piena autonomia, come muoversi, valutando la sua condizione». Pur restando con i piedi per terra, Fabio confessa la sua paura più grande: «Se il trial clinico dovesse mostrare l’efficacia di questo farmaco non potrei sopportare, dopo tutti questi sacrifici, che non si proceda alla sua approvazione per motivazioni esclusivamente economiche. Sarebbe una enorme delusione».
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