Il racconto di Andrea Filippi (Fp Cgil Medici), Alessandro Vergallo (Aaroi-Emac), Cristina Girardet (Usb) e Maurizio Borgese (SMI)
La pandemia sta amplificando le fragilità del sistema emergenza-urgenza del 118, già sotto organico ed estremamente differenziato a livello regionale. Alle criticità strutturali si sono infatti aggiunte quelle legate al SARS-CoV-2: «La realtà del 118 ha una disomogeneità spaventosa a livello nazionale – commenta Andrea Filippi, segretario nazionale Fp Cgil Medici –. Ci sono regioni in cui esiste una cabina di regia che coordina interventi, equipaggiamenti e rete ospedaliera, e altre regioni dove si procede senza alcun coordinamento». Questo potrebbe comportare una mancanza di sincronia tra “necessità” degli ospedali e “necessità” del 118, con un impatto inevitabile sull’efficacia degli interventi d’urgenza.
A confermarci questa situazione anche Cristina Girardet, responsabile 118 Sanità Usb: «Manca una visione uniforme di come si affronta un’urgenza – ci spiega –. Il 118 a livello nazionale risente fortemente del fatto che non c’è un vero servizio nazionale: da una parte alcune associazioni di medici ritengono che il soccorso andrebbe effettuato principalmente da medici dell’area critica, altri che pensano che tutti i medici, anche non specialistici dell’emergenza-urgenza, possano intervenire sui mezzi, altri ancora vorrebbero eliminare la figura degli infermieri, infine c’è chi sostiene che gli infermieri siano il fulcro dell’attività di soccorso».
Questo comporta l’inevitabile moltiplicarsi di interpretazioni di quello che dovrebbe essere il soccorso sanitario: «Molte regioni mettono a disposizione ambulanze con soli autisti con la possibilità di attivare l’infermiere dalla Asl su indicazione specifica, volta per volta, cosa che ha provocato diverse denunce da parte delle associazioni di cittadini». Sì, perché gli equipaggi sull’ambulanza sono a geometria variabile, si va dalla presenza dell’autista (che può essere anche soccorritore), all’infermiere (specializzato o meno in area-critica), al medico (specializzato o meno in area critica, che può intervenire a bordo del mezzo o con automedica separata, oppure può non intervenire)».
Da una visione così disarticolata, si evince un altro nodo centrale: la formazione dei soccorritori. «Non sempre i medici che intervengono con il 118 sono specializzati in emergenza-urgenza, spesso sono medici di medicina generale (MMG) con competenze diverse – continua Filippi della Cgil –. Questo perché mancano i contratti di formazione specialistica».
È netto, su questo punto, Alessandro Vergallo, presidente Aaroi-Emac (anestesisti rianimatori – emergenza area critica): «Il reclutamento del personale 118 spesso non ha nulla a che spartire con l’emergenza-urgenza. Cosa c’entra un oculista o un aspirante medico di famiglia sull’ambulanza? Questo è tutto personale parcheggiato nel limbo del 118 in attesa che si liberi un posto adatto, ma che sistema è?».
E continua Vergallo: «In alcune regioni addirittura i medici più idonei, ovvero i rianimatori, quelli che lavorano tutti i giorni in sala operatoria area-critica negli ospedali, non possono accedere alle graduatorie del 118 perché sono riservate ai soli MMG. Una follia». E conclude: «Un dermatologo può fare un’intubazione tracheale come un rianimatore? Non credo».
I numeri dei contagi tornano a salire proprio ad inizio marzo in modo “esponenziale”, secondo Giovanni Sebastiani dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del CNR. Come durante il picco della seconda ondata, il 118 può rischiare di incepparsi. «Siamo in una situazione di sovraccarico – sostiene il presidente Aaroi -. A mio avviso l’indice di saturazione medio italiano delle terapia intensive ha già superato il 30%».
Questo si ripercuote sull’attività di emergenza totale, compreso il 118. Durante la pandemia i blocchi-ambulanza negli ospedali con file di 6, 8 e addirittura 10 mezzi, sono apparsi su tutti i Tg nazionali. Questo ecosistema vive di equilibri fragili, messi a dura prova dalla pandemia. «Dopo 25 anni ancora persiste una stortura a macchia di leopardo, ogni regione gestisce a proprio modo non solo l’urgenza in sé ma anche i contratti – sostiene Maurizio Borgese, responsabile nazionale SMI Settore Emergenza 118 -. In un’ambulanza puoi trovare un medico d’emergenza-urgenza, formato e preparato, oppure un parasubordinato senza alcuna garanzia, con contratto annuale, senza assicurazioni e tutele. C’è chi lavora solo a rimborso spese. Ma puoi trovare anche un medico a Partita Iva, pagato a singolo intervento con le stesse mansioni ma diversi compensi, formazione e tutele».
Questa frammentazione di trattamento può incidere sulla qualità dell’intervento stesso. «Se sulle ambulanze pubbliche, nel passaggio di turno da una squadra all’altra, si rendicontano tutti i presidi sanitari sul mezzo, e il turnista dopo li verifica con accuratezza, la stessa cosa avviene effettivamente anche per alcune tipologie di ambulanze in convenzione? – si chiede Alessandro Vergallo –. Poniamo il caso di un medico a Partita Iva, con un contratto di lavoro fragile: secondo lei può segnalare criticità interne all’ambulanza con il rischio di bloccare il mezzo, così magari non gli rinnovano il contratto?».
Il Covid-19 ha stimolato l’aumento delle risorse da ripartire sul settore strategico della salute, ma parlando della situazione del Lazio, ad esempio, Cristina Girardet racconta di un «incontro con il vice capo di gabinetto della direzione salute della Regione in cui abbiamo potuto constatare che i piani assunzionali per il rafforzamento del servizio pubblico sono stati quasi totalmente disattesi. Inoltre i numeri che ci hanno dato sono comprensivi di stabilizzazioni e reintegro del turnover, per cui non sono significativi per vedere se hanno effettivamente assunto personale in più».
Va anche detto che con nota regionale di febbraio «la Regione Lazio ha avviato un progetto di re-internalizzazione di 68 postazioni di ambulanza, finora tutte gestite da privati e che torneranno in mano pubblica», spiega Filippi.
Il 118 è un servizio che basa la sua efficacia su due parametri fondamentali: tempestività e qualità d’intervento. «Per questo si sta lavorando su una proposta di legge congiunta, in Commissione Sanità al Senato, dove diversi soggetti hanno contribuito alla stesura del testo. I punti nodali: formazione, organizzazione e contrattualistica. Insomma, rendere il sistema 118 omogeneo e integrato in tutta Italia, con coordinamento centrale e non di paese o provincia. Una formazione qualificata con medici e infermieri specializzati in emergenza-urgenza, e non generici o di altre branche. Infine – conclude Andrea Filippi – contratti uniformi garantiti».
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