La terapia ideata dal cardiologo a base di eparina e aspirina funziona, ma una sovra infezione da batteri può essere letale. Viecca «Per uscire dal tunnel serve un piano vaccinale efficace e un comportamento più responsabile»
Fu il primo a capire che non era la polmonite, ma una trombosi ad uccidere i malati di Covid. Maurizio Viecca, primario di cardiologia all’ospedale Sacco di Milano, a undici mesi dalla sua scoperta racconta ai nostri microfoni perché ancora il 40 percento dei pazienti in terapia intensiva non ce la fa.
«La terapia prevede 15 giorni di anticoagulante, cioè l’eparina, associata all’aspirina e ad un altro antiaggregante per un tempo molto lungo. La cura è utilizzata con buoni risultati, ma oggi ancora si muore di Covid perché i pazienti arrivano in ospedale in una fase tardiva e la causa ultima è una sovra infezione. Come se il sistema immunitario ad un certo punto fosse stanco e non più in grado di difendersi dal virus e da tanti altri batteri. Infatti, ad aggravare irrimediabilmente la situazione sono le complicanze batteriologiche resistenti anche agli antibiotici. Il paziente va incontro ad un marasma: non risponde più all’infezione virale e batterica e il danno si propaga in diversi organi, polmoni, reni, intestino, cervello e cuore».
A distanza di un anno dalla scoperta di Viecca, la terapia è oggi diffusa in molti paesi del mondo. «A cominciare dal Perù – puntualizza il primario di cardiologia del Sacco –, ma non abbiamo avuto riscontro dalla Commissione Sanità del Ministero a cui è stata presentata da mesi». A riprova della terapia messa a punto da Viecca uno studio recente del Centro Cardiologico Monzino e dell’Università Statale, in collaborazione con l’Istituto Auxologico e l’università Bicocca. Ad un campione di 46 pazienti dell’Ospedale San Luca è stato proposto un mix di farmaci in grado di bloccare le complicanze trombotiche da Covid. I risultati sono stati pubblicati sul prestigioso Journal of the American College of Cardiology: Basic to Translational Science. «Nessuna novità rispetto a quanto adottato da noi undici mesi fa – ammette Viecca –. L’aspirina è già annoverata tra gli antiaggreganti della nostra terapia».
Una conferma che la cura è efficace, ma per il cardiologo del Sacco non basta. Per uscire dal tunnel della pandemia occorre il comportamento responsabile dei cittadini.
«Purtroppo, alcuni comportamenti sono incomprensibili, come quanto accaduto ieri in Darsena o la scorsa settimana allo stadio San Siro in occasione del derby tra Milan e Inter, o ancora a Bergamo a margine della partita Atalanta Real Madrid dove c’erano centinaia di persone senza mascherine. È importante che passi il concetto che su 100 nuovi casi di infezioni, 99 sono dovuti ad imbecilli che non utilizzano la mascherina. L’equazione da tenere sempre a mente è: mascherina più vaccino, per ritornare ad una vita normale».
A preoccupare oggi sono soprattutto le varianti; per il primario di cardiologia dell’ospedale Sacco occorre, però, non fare eccessivi allarmismi. «La gravità è la stessa, forse per quella sudafricana uno dei vaccini in commercio potrebbe non essere efficace – sottolinea Viecca -. Ma è importante non accrescere la paura. Nei giorni scorsi si è detto che al Sacco eravamo pieni di nuovi casi. Non è vero. Oggi l’ospedale è nella stessa situazione di quindici giorni fa, un mese o due mesi fa. Usiamo la scusa delle varianti per non dire che mezzi pubblici, apertura delle scuole e ristoranti hanno fatto risalire un po’ l’indice di contagiosità. Prima si fanno i vaccini e prima si torna alla normalità». Non usa mezzi termini il primario di cardiologia del Sacco, che non risparmia accuse anche all’indirizzo di chi fino ad oggi ha gestito il piano vaccinale. «Siamo abbastanza scandalizzati – rimarca – se non cambia l’organizzazione, finiremo le vaccinazioni a gennaio 2022 e se così fosse, ci sarebbe la necessità di ricominciare il giro ad ottobre dal momento che la copertura è di cinque o sei mesi, con il conseguente caos organizzativo per il reperimento del vaccino. Fa bene il presidente del Consiglio, Draghi, a porre come obiettivo 500 mila vaccinazioni al giorno, ovvero un numero dieci volte superiore a quello attuale. Ma è importante trovare le dosi, per questo dovremmo guardare al vaccino russo, già utilizzato in alcuni paesi europei. Potrebbe essere una soluzione».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato