Intervista al presidente dell’ Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani: «Faccio appello al premier Draghi e al ministro Speranza: vi prego non lasciate soli milioni di italiani perché gli effetti negativi di questi ritardi si mostreranno nel tempo »
A distanza di un anno esatto dall’inizio della pandemia in Italia, milioni di screening e centinaia di migliaia di interventi chirurgici sono stati persi, ci ricorda il professor Pierluigi Marini, presidente ACOI (Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani) che vuole essere concreto e diretto: «Faccio appello al premier Draghi e al ministro Speranza: vi prego di non lasciare soli milioni di italiani perché gli effetti negativi di questi ritardi si mostreranno nel tempo. I chirurghi italiani hanno come sempre risposto ‘presente’ accettando di esercitare linee di attività non proprie, come molta parte del personale sanitario. Ma non mettere in campo un piano straordinario di interventi, un vero e proprio “piano Marshall” per la sanità pubblica, rischia di essere, involontariamente, una silenziosa condanna a morte per migliaia di cittadini italiani. Nessuno se lo può permettere».
È necessario comprendere cosa stia accadendo oggi, da nord a sud, nelle strutture sanitarie: «Oltre all’indisponibilità parziale o totale degli ambienti destinati alla chirurgia ospedaliera dovuta nel 99% dei casi alla carenza di medici anestesisti e personale infermieristico – continua il presidente ACOI -, stiamo assistendo alla mancata ripresa delle attività chirurgiche. Dai nostri dati emerge una fotografia inquietante: nel 75% dei casi la ripresa della chirurgia programmata è sotto il 50%, e per oltre 1/3 dei casi non c’è stata alcuna ripresa delle attività per le patologie benigne o ancora un altro 33% dei chirurghi intervistati dichiara che non c’è stata alcuna ripresa o inferiore al 50% dell’attività diagnostica oncologica».
Per recuperare i ritardi accumulati, già «dopo il lockdown dicevamo che bisognava incrementare del 150% l’attività rispetto al pre-Covid per ripianificare gli interventi annullati. Ma nonostante siano passati 12 mesi, non abbiamo ancora visto un vero e proprio piano d’azione messo in campo: lo ricordo sempre, il tumore è una malattia tempo-dipendente e più tardi si inizia il corretto percorso diagnostico-terapeutico meno possibilità esistono di successo. Oggi si arriva ad operare casi in stadio avanzato come non si vedevano più da anni. E se non faremo più diagnosi condanniamo migliaia di pazienti a non essere più candidabili ad un intervento chirurgico».
Per aumentare l’intensità delle prestazioni e allinearsi agli standard della prevenzione «non basta disporre di più terapie intensive, servono più anestesisti, più chirurghi, più infermieri, più investimenti in tecnologie e più sale operatorie». Non solo, «servirebbe – secondo ACOI – aprire tavoli congiunti con il Ministero della Salute per pianificare risorse in modo adeguato ed equilibrato».
Le risorse devono essere spese in modo uniforme, equo e proporzionato. Per potenziare il Sistema Sanitario è necessario utilizzare criteri condivisi, razionali ed estendibili a tutte le Regioni: «I dati Agenas-Pne (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) dimostrano in maniera inequivocabile che chi fa più attività chirurgica ha i migliori esiti, intesi come risultati per complicanze e sopravvivenza. Le nostre attività sono fondate sul personale sanitario ma anche sulle tecnologie – ci tiene a precisare il presidente -, per questo motivo sarebbe importante, se non necessario, avviare programmi di accreditamento delle strutture ed in futuro anche dei medici. È sbagliato pensare che tutti possano essere autorizzati a fare tutto: le tecnologie sanitarie, esigenza impellente per il nostro Paese, dovrebbero essere distribuite e garantite tenendo presente le attività che si svolgono. Fare questo significa rispondere anche alla fortissima domanda di innovazione tecnologica di cui la sanità italiana ha bisogno».
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