Dopo la Toscana, la Regione Lazio ha approvato la somministrazione della pillola abortiva anche al di fuori delle strutture ospedaliere. Viora (Aogoi): «La RU486 può essere utilizzata pure a seguito di un aborto spontaneo per evitare il raschiamento»
Se abortire in ospedale, in regime di day hospital, oppure all’interno di ambulatori e consultori, ora, è una libera scelta della donna anche nel Lazio. La Regione, infatti, nei giorni scorsi ha approvato la somministrazione della pillola abortiva RU486 anche al di fuori delle strutture ospedaliere, recependo l’aggiornamento delle “Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine”, emanate il 12 agosto dello scorso anno dal Ministero della Salute. La Toscana è stata la prima Regione a prevedere questa possibilità, rendendola operativa già nel giugno del 2020. Netta opposizione invece, dopo quella manifestata dall’Umbria, è stata espressa di recente anche dalle Marche.
La pillola abortiva prevede due step. È necessario assumere prima il mifepristone, che blocca il progesterone, ormone in assenza del quale la gravidanza non può continuare. Dopo due giorni, invece, va assunto il misoprostol che, facendo contrarre l’utero, favorisce l’espulsione dei tessuti embrionali. «Questi farmaci – spiega Elsa Viora, presidente Aogoi, l’Associazione ostetrici ginecologi – possono essere utilizzati sia quando è già avvenuto un aborto interno, evitando di ricorrere al raschiamento, sia quando una donna voglia interrompere una gravidanza in corso».
Anche se la legge italiana, la 194 del 1978, fissa a 90 giorni di gestazione il termine ultimo per ricorrere ad un’interruzione volontaria di gravidanza, la pillola abortiva può essere utilizzata solo nella prima fase della gestazione. «La RU486 può essere assunta entro la nona settimana di gestazione. Sarà il medico specialista, dopo che la donna avrà certificato la sua volontà all’interruzione di gravidanza, ad informarla se, nel suo caso specifico, la pillola abortiva è una prospettiva concreta e non solo una possibilità teorica. La donna dovrà essere informata sui pro e i contro delle due opzioni di aborto (farmacologico o chirurgico), così da poter compiere una scelta libera e consapevole».
L’aborto chirurgico avviene generalmente tramite svuotamento della cavità uterina, attraverso isterosuzione (l’aspirazione di embrione ed endometrio con un’apposita cannula introdotta nell’utero, ndr). La donna, di solito, viene ricoverata in regime di day hospital ed addormentata durante l’esecuzione della procedura.
RU486 e pillola del giorno dopo sono due farmaci completamente diversi, con scopi altrettanto differenti. «La pillola del giorno dopo – spiega la ginecologa – viene utilizzata dopo un rapporto non protetto per impedire l’inizio di un’eventuale gravidanza indesiderata. L’effetto è direttamente collegato alla tempestività di assunzione: meno tempo trascorre tra il rapporto sessuale non protetto e l’assunzione del farmaco, maggiori saranno le possibilità che abbia l’effetto desiderato. Ne esistono due tipologie: una che può essere assunta fino al terzo giorno successivo al rapporto non protetto, un’altra fino a 5 giorni dopo, ma per entrambe vale la stessa regola della tempestività».
La pillola del giorno dopo può essere acquistata direttamente in farmacia e questo rappresenta un grosso vantaggio a tutela della rapidità di somministrazione: «Pensiamo, ad esempio, alle difficoltà di contattare un medico nel fine settimana – dice Viora -. Va sottolineato che, essendo farmaci che ritardano l’ovulazione, non sono abortivi: se la gravidanza è iniziata non avranno alcun effetto».
Che sia una gravidanza non desiderata, interrotta ancor prima di cominciare, bloccata farmacologicamente o chirurgicamente, sarà sempre necessario rispettare le leggi vigenti in Italia, che regolano modalità e tempistiche dell’aborto.
E se la decisione o la necessità di abortire dovesse subentrare successivamente ai limiti previsti dalla legge italiana? «Le leggi sull’interruzione di gravidanza non sono uguali in tutti i Paesi del mondo, né tantomeno esiste una regolamentazione europea in materia – risponde la presidente Aogoi -. Per cui la donna potrà informarsi, in modo autonomo o attraverso il suo medico di fiducia, sulle leggi vigenti altrove ed orientare così la sua scelta. Ma ad oggi – conclude Viora – non abbiamo dati a disposizione che ci indichino quante italiane abbiamo viaggiato verso questa direzione».
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