Secondo un’indagine condotta da AIL durante la pandemia il 40% dei pazienti ha dichiarato di non aver avuto contatti con il proprio medico di base. Molti hanno denunciato forte stress e disagio piscologico
Il Covid ha complicato notevolmente la vita dei pazienti oncologici e tra questi non fanno eccezione quelli colpiti da tumori del sangue. È quanto emerge dalla survey “Aspetti di gestione del percorso di cura in relazione all’emergenza Covid-19. L’esperienza del paziente e del familiare nella prima fase della pandemia” realizzata da AIL in collaborazione con Elisabetta Abruzzese, Medico UOC Ematologia Ospedale S. Eugenio e Marianna De Muro, Medico UOC Ematologia dell’ Ospedale “F. Spaziani” di Frosinone, ha avviato e concluso già nella prima fase della pandemia.
Dai dati emerge che durante la pandemia il 58,6% dei pazienti affetti da tumore del sangue ha dovuto sospendere l’attività lavorativa, mentre oltre il 40% ha dichiarato di non aver avuto contatti con il proprio medico di base e 4 malati su 10 hanno riscontrato ritardi nel percorso di terapie. Il rinvio degli appuntamenti (37,7%) ha riguardato in percentuale più alta chi è seguito dai centri ematologici e svolge solo controlli (41,7%).
L’adesione all’indagine è stata significativa con 1.106 questionari compilati e le difficoltà maggiori riscontrate, oltre al forte stress e al disagio piscologico, riguardano l’attività lavorativa, le problematiche di accesso alle strutture sanitarie e ai consulti con gli specialisti, le lunghe attese nei centri di cura e anche l’impossibilità di avere un contatto fisico con i caregiver negli ospedali.
In una scala di priorità individuate dai Gruppi AIL pazienti, è stato chiesto ai rispondenti di attribuire un peso compreso tra 1 e 5 (1=meno importante e 5=più importante) rispetto ai bisogni sentiti. Per i pazienti tra le priorità c’è quella di ricevere attenzione da parte dell’ematologo per il 66,3%: di questi il 47,9% ha ritenuto questo aspetto il più importante. Il bisogno è sentito con maggior forza da parte di chi è in terapia attiva (51,8%) rispetto a chi esegue controlli (42,8%). Altri hanno posto attenzione sulle informazioni sui comportamenti da adottare nel periodo di emergenza in rapporto alla patologia per il 64%, di cui il 46,7% ha dato il peso 5 (più importante) o al reperire i dispositivi di protezione individuali per il 61,9%, di cui il 45,6% ha ritenuto questo aspetto più importante;
«La survey è stata strutturata valutando stress, ansia e depressione mediante il DASS21, e le esigenze dei pazienti, mediante specifiche domande – sottolinea la dottoressa Marianna De Muro -. Grazie a questa analisi abbiamo potuto indentificare alcuni strumenti da mettere in campo per dare una risposta concreta ai bisogni, per aiutare i pazienti ad affrontare al meglio la quotidianità della patologia nella pandemia; è emersa la necessità da parte dei pazienti di trovare nell’ ematologo referente, non solo un medico competente nel fornire risposte in termini di gestione della malattia e della terapia, ma che sappia anche rassicurare, alleviare l’ansia, e rispondere ad interrogativi che rappresentano fonte di preoccupazione, che sappia suggerire le corrette strategie igieniche da adottare nella vita quotidiana per evitare il contagio».