Si svolgerà dal 24 al 30 maggio, con il patrocino di ISS e con la partecipazione delle principali società scientifiche endocrinologiche, mediche e chirurgiche
Per gli oltre sei milioni di italiani che soffrono di problemi alla tiroide la pandemia da Covid ha significato ritardi nelle terapie e negli interventi, oltre a maggiori complicanze in caso di contrazione del virus. Una criticità in parte assorbita dalla telemedicina, preziosa alleata durante il lockdown. A sottolineare l’importanza della tecnologia come strumento di monitoraggio costante dei pazienti sono stati i professionisti che questa mattina hanno preso parte all’evento di apertura della Settimana Mondiale della Tiroide 2021 patrocinata dall’Istituto Superiore di Sanità che si terrà dal 24 al 31 maggio. Ad aprire i lavori Luca Chiovato, Presidente Associazione italiana tiroide coordinatore e responsabile scientifico della settimana mondiale della tiroide che ha evidenziato nel suo intervento come il tema scelto “Tiroide e Pandemia da Covid” per tutte le conseguenze generate dal virus sulla ghiandola da un punto di vista diagnostico e terapeutico non debbano essere trascurate. «Il Covid sulla tiroide ha avuto un duplice effetto – ha spiegato -: clinico sulla funzione di questa preziosa ghiandola, e sociosanitario, per il prolungato isolamento che ha costretto a rinviare cure e interventi. In particolare, chi non è andato incontro ad una forma aggressiva del virus, ha dovuto fare i conti con una forma di tiroidite transitoria che non deve essere trascurata. Per questo il ruolo della telemedicina è stato ed è essenziale nel permettere di mantenere in buona salute la tiroide e non trascurare alcun campanello di allarme».
Un plauso alla telemedicina è arrivato anche dal Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini CAPE, con Anna Maria Biancifiori che ha spiegato: «Da ex paziente posso dire di aver avuto difficoltà ad aiutare i pazienti e parenti, ma grazie a call e webinar siamo riusciti a far passare il messaggio della prevenzione e siamo stati un punto fermo, confortante e rassicurante».
Il ruolo della telemedicina è ancora più determinante nei pazienti con tumori tiroidei che necessitano di farmaci di ultima generazione, come ha sottolineato nel suo intervento Franco Grimaldi, presidente di AME, Associazione medici endocrinologi secondo cui «questi pazienti, quando colpiti da Covid richiedono un monitoraggio clinico costante e in tal caso grazie alla telemedicina è possibile controllare effetti collaterali e aderenza alla terapia. Anche il feedback con il personale medico a distanza è importante per i malati oncologici tiroidei per evitare il contagio. In riferimento alla profilassi vaccinale – ha aggiunto Grimaldi – occorre precisare che la dosa deve essere inoculata prima della terapia oncologica, le controindicazioni sono analoghe a quelle degli altri pazienti, ma essendo più fragili, devono essere tenuti maggiormente sotto controllo».
«Anche per i bambini con patologie tiroidee il ruolo della telemedicina è stato essenziale – ha sottolineato Maria Cristina Vigone, segretario generale SIEDP, Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica -. Il Covid non ha aggravato la loro condizione tanto più che lo screening per ipotiroidismo congenito non è stato dimenticato anche durante la pandemia da Covid e quindi la cura è stata mantenuta adeguata e ottimale in tutti i casi. In futuro questo strumento potrà essere impiegato nel follow up senza sostituirsi alla visita in presenza che resta fondamentale».
Recuperare il tempo perduto è la sfida lanciata da Celestino Pio Lombardi, Presidente della Società Italiana Unitaria di Endocrino Chirurgia (SIUEC) che ha evidenziato ritardi e appuntamenti mancati a causa della pandemia: «La situazione di paura che si protrae da oltre un anno, ha ridotto il ricorso da parte dei pazienti ai programmi di prevenzione e ai controlli periodici sia per quanto riguarda le patologie tiroidee benigne sia, e questo è più preoccupante, per quelle maligne – ha puntualizzato -. Il rischio, in caso di noduli tiroidei tumorali, è l’aumento della dimensione che può rendere impossibile il ricorso alla chirurgia tiroidea mininvasiva, con conseguenze post-operatorie più importanti».
Alle parole di Lombardi si è allineata Maria Cristina Marzola, consigliere dell’Associazione Italiana Medici Nucleari che ha aggiunto: «Da un’analisi eseguita dal gruppo Giovani di AIMN è emerso che nel corso della pandemia si è verificata una riduzione di tutte le prestazioni di Medicina Nucleare. Il 19% circa di questa perdita riguarda prestazioni terapeutiche e oltre il 50% dei casi riguarda la terapia con iodio radioattivo per il carcinoma della tiroide. Questo è dipeso sia dalla riduzione degli interventi chirurgici sulla tiroide, sia dalla possibilità, condivisa anche in ambito internazionale, di posticipare di qualche mese la terapia con iodio radioattivo nei casi di carcinoma differenziato della tiroide a basso rischio. Allo stesso tempo, i Centri di Medicina Nucleare hanno innalzato i livelli di protezione e isolamento dei pazienti per evitare che chi avesse assunto lo iodio radioattivo a scopo terapeutico fosse infettato dal virus». Anche Fabio Monzani di SIGG, Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, ha evidenziato come il ritardo nella gestione delle malattie tiroidee sia stato evidente nella popolazione anziana colpita da Covid. «I problemi alla tiroide nel paziente anziano sono frequenti anche se nascosti da altre patologie primarie. Questo determina una mancanza di controllo. Per arginare a questo inconveniente con altri paesi europei la società italiana di Gerontologia e Geriatria ha promosso un registro per i pazienti con patologie tiroidee affetti da Covid».
«La pandemia ha aggravato la già difficile condizione dei pazienti affetti da morbo di Basedow – ha aggiunto Francesco Frasca, rappresentante della European Thyroid Association, ETA -. Il morbo di Basedow che si manifesta con un eccesso di ormoni tiroidei e il processo infiammatorio che ne è la causa può estendersi anche all’orbita oculare, richiede controlli clinici frequenti per aggiustare la terapia. Una condizione che durante la pandemia è venuta meno per due motivi: gli endocrinologi sono stati impiegati nell’emergenza Covid mentre si è venuta a creare una difficoltà di accesso agli ospedali. Per assicurare la cura dei pazienti si è fatto ricorso alla telemedicina nelle sue varie forme e, talora, all’utilizzo di schemi terapeutici, come quello basato sulla contemporanea somministrazione di farmaci antitiroidei ad alta dose e tiroxina, che consentono controlli clinici meno ravvicinati».
Definito l’impiego della telemedicina come valido collettore tra paziente e medico, la campagna vaccinale è un altro ambito che richiede molta attenzione nelle patologie tiroidee, a partire proprio dal morbo di Basedow come ha rimarcato lo stesso Frasca: «Bisogna effettuare la vaccinazione anti- Covid-19 nei tempi corretti, perché la terapia tipica dell’orbitopatia Basedowiana, a base di cortisonici ad alte dosi per via endovenosa, può vanificare l’effetto del vaccino se questo viene somministrato durante il ciclo terapeutico».
Anche per i pazienti con tiroiditi Hashimoto, un’altra malattia autoimmune, si è aperto il dibattito sull’efficacia o meno del vaccino. Al riguardo Francesco Giorgino, Presidente di SIE, Società Italiana di Endocrinologia ha voluto fare chiarezza: «Questa autoimmunità non compromette la reattività del sistema immunitario del virus o del vaccino, quindi i soggetti con questa patologia si possono vaccinare».
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