Pilotto (Sigot): «Tra i robot di ultima generazione c’è quello Anticaduta: individua le carenze dell’individuo che lo espongono al rischio di caduta ed elabora un training personalizzato per rinforzare gli aspetti risultati deficitari, che siano muscolari, sensoriali o di equilibrio»
Immaginiamo di essere su un autobus: che cosa accade al nostro corpo se l’autista frena improvvisamente? Abbiamo la sensazione di perdere l’equilibrio, ma grazie ad una reazione automatica multifattoriale e multisensoriale, riusciamo a mantenere la nostra posizione di partenza. Almeno fin quando godiamo di buona salute. Se è una persona anziana a trovarsi nella medesima situazione, infatti, è molto probabile che avrà qualche difficoltà ad attutire il colpo.
Calcolare il rischio di caduta, evitando di esporre l’anziano ad inutili pericoli, è possibile grazie all’utilizzo di un robot specializzato in diagnostica che, non a caso, si chiama Robot Anticaduta. La sua efficacia è in corso di sperimentazione all’ospedale Galliera di Genova. «Lo scorso anno – racconta Alberto Pilotto, presidente SIGOT (la Società Italiana Geriatria Ospedale e Territorio) e direttore del dipartimento di Cure Geriatriche all’ospedale genovese – abbiamo analizzato 150 anziani e circa un terzo dei partecipanti è risultato particolarmente esposto al il rischio di caduta. Pericolo confermato nei 12 mesi successivi: quasi tutti gli anziani ritenuti a rischio, con un’accuratezza di circa il 90%, hanno effettivamente subito una caduta». Un risultato che ha spinto i ricercatori ad andare oltre. «Una volta identificato il rischio di caduta – continua Pilotto – abbiamo utilizzato lo stesso robot per la programmazione di esercizi personalizzati, in grado di sviluppare i muscoli e l’equilibrio, al fine di restituire l’orientamento alla persona anziana».
Grazie a questa tecnologia è possibile simulare ed esercitarsi ad affrontare al meglio situazioni della vita reale. «Il paziente viene posizionato su una piattaforma e il robot, riproducendo dei pericoli del quotidiano (come ad esempio la frenata brusca di autobus), individua le carenze dell’individuo e lo sottopone ad un training di 45 minuti, tre volte alla settimana, per rinforzare gli aspetti risultati deficitari, che siano muscolari, sensoriali, di equilibrio. La simulazione – aggiunge il presidente della SIGOT -, e quindi l’allenamento, viene svolta sia in posizione eretta che seduta».
Oltre alla robotica personalizzata, nello stesso ospedale, è in sperimentazione la robotica umanoide. «Pepper è un robot umanoide – continua il presidente della Sigot – utilizzato per la riabilitazione di gruppo. In particolare, stiamo testando la sua efficacia nel progetto “Ro.sa” (Robot e sarcopenia). Gli anziani coinvolti, tutti affetti da perdita della massa e della forza muscolare a causa dell’invecchiamento, seguono gli esercizi proposti da Pepper. Il robot umanoide, grazie ai suoi occhi tecnologi e ai sensori posizionati sugli arti e il tronco dei pazienti, riesce a rilevare eventuali errori nella pratica degli esercizi fisici, proponendone la correzione. I risultati – sottolinea Pilotto – mostrano che gli effetti benefici per la muscolatura sono gli stessi ottenuti con l’aiuto del fisioterapista. In più, gli anziani appaiono maggiormente motivati a seguire l’allenamento proposto da Pepper, ritenendolo un momento ludico e di divertimento».
La robotica è tra le ultime frontiere della tecnologie applicate alla diagnostica ed al trattamento in ambito geriatrico, ma non l’unica. «Le tecnologie utilizzate in ambito sanitario, oltre alla robotica, possono essere suddivise in altre tre principali categorie: l’ICT (Information and Communication Technology), la domotica e la tecnologia sensoristica. Tutte strumentazioni in grado, in maniera e misura diversa, di migliore la vita dei nostri pazienti», assicura lo specialista.
Ma se lo sviluppo di questi modelli procede spedito in alcune realtà, con un’ulteriore accelerazione imposta dalla pandemia da Covid-19, restano ancora molti ostacoli da superare affinché la diffusione sia capillare. «Innanzitutto – evidenzia Pilotto -, la rete, che non è diffusa ed efficiente ovunque. Poi l’effettivo utilizzo dei device, spesso anche costosi. In terzo luogo, l’alfabetizzazione digitale va ancora costruita, visto che non solo gli anziani, ma anche i caregiver spesso non sono competenti. Poi, c’è la messa in rete: non esiste un’anagrafica dei pazienti, ancor meno di quelli fragili. Non c’è nulla da dimostrare in merito all’efficacia della tecnologia, ma bisogna ragionare su come migliorarne l’implementazione. Entro a 4-5 anni le tecnologie dovranno essere diffuse ovunque e, per questo, è necessario agire in fretta. Affinché – conclude il presidente SIGOT – non restino un privilegio di pochi centri di eccellenza, ma una realtà alla portata di tutti».
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