Il progetto della Cooperativa, che ha tra i partner l’Ospedale Bambino Gesù e il Vaticano, continua a portare anche nelle periferie supporto medico. Milanese: «In Olanda il 18% over 65enni assistiti a domicilio, in Italia il 2%. Serve regolamentazione e maggiore formazione per operatori»
Un camper che va in giro per dare assistenza ai bambini e agli anziani più bisognosi di aiuto. Un progetto, quello della Cooperativa Osa (Operatori Sanitari Associati), che coinvolge diverse tipologie di professionisti: medici, infermieri, assistenti sociali. Una squadra prende in carico il paziente e gli fa fare un’analisi completa delle sue condizioni di salute, per fare in modo che nessuno resti inascoltato e lasciato a se stesso. Ne abbiamo parlato con il dottor Giuseppe Milanese, Presidente Osa.
Dottor Milanese, un’importante iniziativa, quella organizzata da Osa nelle ultime settimane per raggiungere nelle periferie minori e anziani attraverso strutture mobili.
«È solo l’ultima iniziativa, in ordine di tempo, messa su da Osa sulla scorta di quella che è la sua storia. Osa si è sempre occupata delle persone che versano in stato di difficoltà. Abbiamo iniziato diversi anni fa con l’assistenza domiciliare nelle periferie romane, con il supporto alle persone affette da AIDS, ed oggi torniamo nelle periferie – dove in realtà siamo sempre rimasti – con questi camper che hanno la funzione di assistere i bambini, i minori, nelle loro necessità. Questo primo camper ha come partner l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, mentre il secondo nasce su volontà del Vaticano e della Segreteria di Stato per fornire assistenza agli anziani e per poter gestire le fasi di cronicità che purtroppo oggi interessano gran parte della nostra popolazione».
Quello della cronicità, dell’invecchiamento della popolazione nella società rappresenterà sicuramente la grande sfida del futuro dell’Italia.
«L’assistenza primaria è il principale problema di cui lo Stato deve occuparsi. Oggi in Italia non abbiamo dati confortanti: abbiamo un’assistenza domiciliare fatta a macchia di leopardo nelle varie regioni. Con il Ministero della Salute abbiamo cercato di regolamentare questo sistema, come si fa negli altri Paesi: basti pensare che in Olanda il 18% degli ultra 65enni è assistito a domicilio, mentre in Italia siamo intorno al 2%. Stiamo dunque cercando di dare una mano anche come Federazione e come Conf-cooperative nel dire cosa si può fare. Sicuramente c’è da costruire un sistema. La cronicità non può essere più affrontata trasferendo moneta ai soggetti affetti. In tutti questi anni abbiamo dato alle famiglie di chi versa in questa situazione soldi che sono stati impiegati essenzialmente per cercare badanti, e questo è un non-sistema».
Per concludere, quanto è importante migliorare la formazione degli operatori sanitari su questi temi, in modo da affrontare sempre meglio anche questo tipo di sfida.
«La formazione è essenziale. Noi medici studiamo tanti anni e non abbiamo nessuna formazione specifica nel campo dell’assistenza primaria. Noi stessi, quando da giovani appena laureati andavamo nelle case delle persone con AIDS, non eravamo perfettamente in grado di affrontare dal vivo, in casa, una persona con questo tipo di patologia. Quindi un conto è affrontare una persona in casa, in quel caso con una malattia molto acuta e problematica, un conto è affrontarla in ospedale. Sicuramente c’è bisogno di una formazione specifica che consenta agli operatori di approcciare il domicilio in maniera serena, perché nel domicilio non hai tutto il supporto che invece puoi avere in una struttura residenziale. Hai dunque bisogno di una formazione specifica, sia che tu sia un medico, un infermiere o un fisioterapista. In questo tipo di missione, quello della formazione è un elemento imprescindibile».