La ricercatrice Silvia Gianola, prima autrice dello studio pubblicato su ‘Physical Therapy’: «Picco di prevalenza più alto nel mese di marzo quando uno su tre dei fisioterapisti che avevano fatto il tampone risultavano positivi»
Un fisioterapista su sette positivo durante la prima ondata di Covid-19 con un tasso superiore di dieci volte a quello della popolazione generale. Sono i dati che emergono dallo studio condotto dal comitato scientifico di AIFI (Associazione Italiana Fisioterapia) dal titolo ‘The Spread of Covid-19 Among 15.000 Physical Therapists in Italy: A Cross-Sectional Study’ e pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale ‘Physical Therapy’.
Lo studio di prevalenza è stato condotto attraverso un questionario diffuso attraverso la FNO TSRM PSTRP e lanciato il 28 aprile 2020. In tutto 15.566 intervistati su 35.938 membri attivi. Al 27.8% degli intervistati è stato effettuato il tampone, il 13.1% ha avuto il Covid, ma probabilmente, considerando la carenza di tamponi, il numero potrebbe essere molto più alto. Il 3.6% dei fisioterapisti che ha risposto al questionario era positivo con un tasso di contagio 10 volte superiore a quello riportato nello stesso periodo nella popolazione generale italiana
«Abbiamo raccolto delle domande sulla prevalenza di positivi che avevano ricevuto il tampone o una diagnosi confermata con un sierologico, raccogliendo le informazioni da inizio pandemia nei mesi di gennaio, febbraio, marzo, aprile e maggio del 2020. Abbiamo registrato il picco di prevalenza più alto nel mese di marzo quando uno su tre dei fisioterapisti che avevano fatto il tampone risultavano positivi. Considerando la carenza della disponibilità di tamponi e di dispositivi di protezione individuale quella è una sottostima del dato di prevalenza del Covid», spiega Silvia Gianola, fisioterapista ricercatore dell’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, prima autrice dello studio e membro del Consiglio Direttivo nazionale di AIFI.
Tre le sezioni del questionario. La prima era di raccolta delle caratteristiche demografiche, la seconda sulla prevalenza del Covid, mentre nella terza sezione sono stati indagati tutti i fattori di rischio sia lavorativi che personali. «Ad esempio, il cambio di mansione: se un fisioterapista veniva spostato al triage e misurava la temperatura, il fattore di rischio aumentava – continua Gianola -. Abbiamo indagato il cambio mansione e lo shift di task job. Ad esempio, è capitato che un fisioterapista generico e dedito al lavoro muscolo scheletrico o pediatrico potesse essere addestrato e dirottato per fare il fisioterapista respiratorio. Solo il 3% dei rispondenti era fisioterapista respiratorio prima della pandemia e con il cambio delle mansioni quella percentuale è cambiata fino ad arrivare a un 15-20%. Una esigenza che è emersa è la necessità di incrementare la percentuale di fisioterapisti formati nella parte respiratoria per future pandemie. Il 3% è poco».
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