Il 21 giugno specialisti ed ematologi di AIL risponderanno alle domande dei pazienti, dalle 8 alle 20, al numero verde 800226524. L’obiettivo è raccontare i progressi della ricerca e il supporto avuto durante la pandemia da Covid dalla telemedicina e dai volontari
In occasione della Giornata nazionale contro Leucemie, Mielomi e Linfomi che si svolgerà il prossimo 21 giugno, un pool di specialisti ed ematologi di AIL saranno a disposizione di pazienti, caregiver e cittadini al numero verde 800226524, dalle 8 alle 20,. L’obiettivo è dare informazioni sui tumori del sangue e le nuove terapie. Un’occasione per raccontare i progressi della ricerca in ematologia e l’impegno delle 82 sezioni AIL verso i pazienti e i famigliari, un supporto che non è mai venuto meno neanche durante le fasi più critiche della pandemia da Covid-19. Una sensibilità verso i pazienti e i caregiver ribadita a più riprese in occasione della conferenza stampa che si è tenuta in modalità digitale ieri con la partecipazione dei più grandi specialisti.
A fare gli onori di casa il Presidente nazionale AIL, nonché professore onorario di ematologia presso l’Università Tor Vergata di Roma, Sergio Amadori che ha sottolineato come i tumori del sangue siano sempre più curabili. «La ricerca non si deve fermare – ha detto – perché non tutti i pazienti raggiungono i medesimi risultati con le terapie. Di sicuro oggi esistono maggiori possibilità di controllo della malattia anche a lungo termine». Focus dell’incontro i tumori rari che colpiscono il midollo osseo come la leucemia mieloide cronica, policitemia vera, trombocitemia essenziale e mielofibrosi. «Sono malattie croniche subdole che spesso si manifestano per caso con la conseguenza che i trattamenti iniziano in ritardo e i rischi per i pazienti aumentano. Grazie alla ricerca, però, oggi è possibile lo sviluppo di molecole in grado di inibire in modo mirato l’azione dei geni responsabili della malattia».
«Tra le malattie del sangue la Trombocitemia e la Policitemia sono le meno pericolose, ma tendono ad evolvere – ha sottolineato Tiziano Barbui, direttore scientifico della Fondazione FROM e primario di Ematologia Clinica presso la Fondazione per la Ricerca dell’Ospedale di Bergamo – e possono diventare gravi con gli anni. Obiettivo è evitare che ciò accada. Gli esperti concordano nel ritenere che esistono pazienti a basso rischio e altri per i quali servono farmaci specifici per evitare che si generino delle trombosi. Oggi si tende a cercare di ridurre un’altra complicanza importante che porta alla fibrosi del midollo e che ha come conseguenza l’accorciamento della vita del paziente. Fondamentale, dunque, è una diagnosi precoce e la ricerca con lo studio di cure innovative. Proprio le nuove terapie sono state al centro dell’intervento di Tiziano Barbui: «Le neoplasie mieloproferative croniche (MPN) come Policitemia vera e Trombocitemia essenziale e Mielofibrosi idiopatica riguardano rispettivamente dai 30 ai 50 casi ogni 100 mila abitanti. Sono malattie rare e la ricerca in questo ambito è molto attiva, anche per merito di molti gruppi italiani. I farmaci attualmente in uso per controllare l’aumentata proliferazione delle cellule progenitrici midollari sono tre, quello di uso comune è d’idrossiurea, mentre i nuovi farmaci sono JAK2 inibitore e l’interferone che secondo i nuovi studi è impiegato nei più giovani, in età fertile e in gravidanza».
«Tra le malattie, la più rara è la Mielofibrosi idiopatica – ha analizzato Alessandro Vannucchi, direttore di Ematologia presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze e responsabile del centro di ricerca e innovazione delle malattie mieloproliferative -. Sono circa cinquecento le nuove diagnosi ogni anno e si calcola che ci siano in Italia dalle 3 alle 4 mila persone affette da questa patologia che può essere primaria o secondaria. In entrambi i casi la sopravvivenza è intorno ai 6/7 anni, ma grazie alla scoperta delle alterazioni molecolari oggi siano in grado di sapere dove colpire e ci sono farmaci Jack inibitori che funzionano come ruxolitinib, e un secondo farmaco, fedratinib, che è stato approvato più di recente. Queste terapie si sono dimostrate capaci di ridurre fino a normalizzare il volume della milza e riuscire ad arrivare alla regressione totale dei sintomi; la qualità di vita dei soggetti è migliorata e anche le aspettative di vita. Nessuna terapia farmacologica oggi disponibile è in grado di portare a guarigione, e quindi il trapianto di cellule staminali resta l’unica possibilità di cura. Molti progressi sono stati fatti però negli anni, oggi sono in corso 20 studi clinici in modo che il paziente possa avere più possibilità di sopravvivenza».
Importanti progressi in molte malattie ematologiche maligne sono stati raggiunti grazie a gruppi di lavoro come Fondazione GIMEMA, centro italiano coinvolto nella ricerca di nuovi farmaci che ha creato una rete di 61 laboratori su tutto il territorio italiano che seguono protocolli applicati anche nei 120 centri clinici aderenti, generando un modello per la ricerca che diventa uno strumento per la cura e viceversa. «Questo sistema permette di monitorare i pazienti. Coloro che raggiungono una risposta molecolare completa e la mantengono almeno 4 o 5 anni, possono provare a sospendere la terapia – ha aggiunto Marco Vignetti, Presidente di Fondazione GIMEMA e Vicepresidente Nazionale AIL – Questo perché i controlli continuano e consentono di intervenire tempestivamente nel caso la malattia si ripresenti. Dati ormai consolidati indicano che nel 50% dei casi non si ripresenterà».
Tra le terapie innovative per le neoplasie del sangue rientra l’immunoterapia di cui ha parlato nel suo intervento il professor Fabrizio Pane, docente ordinario di ematologia e direttore U.O. di Ematologia e Trapianti A.O.U. Federico II di Napoli «L’immunoterapia, che è in grado di attivare la risposta immunitaria da cui molti tipi di neoplasie si difendono, sta entrando in tutti gli ambiti delle terapie per le malattie neoplastiche del sangue, ad eccezionee della leucemia mieloide cronica perché – ha spiegato – in commercio ci sono farmaci molto efficaci in grado di cronicizzare la malattia. Nonostante ciò, l’immunoterapia può essere utile nei pazienti che non rispondono in maniera ottimale alle terapie disponibili o che sono troppo fragili. Al riguardo sono stati avviati degli studi per arrivare a forme più attive di immunoterapia».
A rendere più complessa la situazione nell’ultimo anno ha contribuito il Covid che ha generato ritardi che sono stati in parte attutiti grazie alla telemedicina. Lo ha sottolineato Massimo Breccia, dirigente medico Responsabile UOS Ematologia Policlinico Umberto I e Università Sapienza di Roma: «Nella prima fase della pandemia si è verificata molta eterogeneità tra i centri italiani, molti sono stati destinati al Covid, altri sono stati ridotti e di conseguenza si sono accumulati ritardi. Nella seconda fase è stato necessario riprogrammare le liste d’attesa e recuperare i pazienti, dove è stato possibile, con la telemedicina. Il 70 percento dei medici è stato in grado di mantenere costante il dialogo con i pazienti grazie a e-mail, telefono e tablet. Un aiuto determinante è stato dato anche dai volontari AIL. Tra questi, molto toccante è stata la testimonianza di Giampiero Garuti, paziente guarito dalla leucemia grazie al trapianto ed oggi volontario AIL:: «Ho ricevuto moltissimo dall’associazione e quando sono uscito dalla malattia ho pensato fosse importante restituire qualcosa anche perché essendo stato io un paziente mi rendo conto delle necessità di chi sta affrontando una battaglia contro un tumore del sangue. Fondamentale è un dialogo costante con il medico. Ricevere le informazioni corrette permette di avere la giusta consapevolezza della malattia – ha spiegato –, questo evita di ricorrere a dottor Google e soprattutto permette al paziente di dare un contributo attivo e di condividere passo a passo la cura e le terapie da affrontare».
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