Insieme ad altri due colleghi, Gallea è stata tra i primi medici a recarsi nella cittadina divenuta zona rossa. Un impegno che le è valso l’onorificenza da parte del Presidente della Repubblica. «Non c’è stato tempo per pensare, la decisione è stata presa in poche ore. Qualcuno doveva ricoprire il ruolo fondamentale di medico di famiglia»
È passato un anno da quel giorno di giugno in cui al Quirinale il Presidente della Repubblica ha voluto premiare con l’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica il suo impegno e quello dei colleghi medici a Vo’ Euganeo durante i primi, drammatici giorni dell’emergenza Covid-19.
Oggi Mariateresa Gallea, classe 1986, veneta di Castelfranco ma cresciuta a Padova, ripensa a quegli incredibili giorni di fine febbraio 2020 con la consapevolezza di chi sa di aver fatto la cosa giusta. E di chi rifarebbe ancora quella scelta.
«Erano passate poche ore da quando era stato identificato il primo caso positivo a Schiavonia – racconta la dottoressa a Sanità Informazione -. Era venerdì e il lunedì mattina io e gli altri colleghi avremmo preso servizio a Vo’ per sostituire i tre medici di famiglia che erano stati messi in isolamento fiduciario perché erano stati a contatto con i pazienti positivi. Sono stata lì due settimane. Non c’è stato tempo per pensare, la decisione è stata presa in poche ore. Bisognava che qualcuno ricoprisse un ruolo fondamentale, quello del medico di famiglia. So bene che ruolo ha un medico all’interno di una comunità di 3500 abitanti e quindi cosa avrebbe significato restare senza una figura sanitaria di riferimento, peraltro l’unica all’interno di Vo’. Del resto, le problematiche di salute non sarebbero state fermate dalla zona rossa. Consapevoli dell’importanza di questo, eravamo motivati a scendere in campo».
Mariateresa Gallea, Paolo Simonato e Luca Sostini sono i tre medici di famiglia di Padova che volontariamente si sono recati in piena zona rossa per sostituire i colleghi di Vo’ Euganeo messi in quarantena. Un mix di senso del dovere, passione per la professione medica e incoscienza giovanile ha guidato la loro scelta.
«Non avevo idea di quello che ci aspettava – spiega la dottoressa veneta -. Era completamente un salto nel buio. Non si conoscevano nemmeno le reali modalità di trasmissione del virus, si sapeva pochissimo anche sugli effetti clinici, erano passate poche settimane dai primi casi in Italia. Anche dal punto di vista internazionale non c’erano linee guida e quindi in realtà non sapevamo quasi nulla su come approcciarsi, su quali fossero le procedure da mettere in atto anche per l’attività clinica ordinaria. All’epoca usavamo ancora le FFp2 con le valvole che poi sono state dimostrate non sufficientemente protettive nei confronti della popolazione e abbandonate».
Quando le chiedo se ha pensato al rischio, se ha avuto “paura” di andare nell’epicentro del contagio, risponde senza tentennamenti: «Tutti i professionisti sanitari hanno pensato che ci fosse un rischio, sia nel territorio che negli ospedali. Il rischio fa sempre parte della nostra professione, indipendentemente dalla pandemia Covid. In quel momento c’era un rischio in più, qualcosa che non si conosceva. Sicuramente c’era un po’ di paura ma fa parte dell’attività quotidiana».
Gallea ricorda quei tragici momenti: tutta Italia era incollata davanti alla televisione per capire cosa stesse succedendo nelle zone rosse, gli effetti del temibile e allora in gran parte ignoto virus, quanto fosse esteso il contagio. Per medici e professionisti sanitari, anche l’arduo compito di rassicurare la popolazione.
«In quei giorni Vo’ era stato chiuso in quanto zona rossa ed erano stati avviati i tamponamenti di massa della popolazione – ricorda ancora Gallea -. Nelle prime 48 ore molti erano entrati nel panico, dato che non si poteva più lasciare il comune che era stato transennato, con tutte le limitazioni che una chiusura improvvisa poteva comportare. C’erano persone che non potevano andare a trovare i genitori perché non residenti a Vo’ e, viceversa, dei figli residenti a Vo’ che non potevano andare a trovare i genitori anziani nei comuni limitrofi. Progressivamente la popolazione, sottoposta al tampone, si è rassicurata e tranquillizzata anche con il progredire dello screening».
Dal presidente Sergio Mattarella parole di encomio e di ringraziamento per lei e i giovani colleghi: «Si è congratulato perché abbiamo avuto il coraggio di essere entrati in azione per primi. Dopo di noi si è mobilitata tutta la medicina generale italiana. Sinceramente non mi aspettavo l’onorificenza, è stata una piacevolissima sorpresa. Io stavo lavorando, avevo dei pazienti davanti a me, l’ho scoperto da una giornalista che mi ha chiamato per farmi un’intervista, ma non sapevo ancora nulla».
Da questa pandemia, Gallea ha voluto trarre un insegnamento che vale per tutti i medici e i professionisti sanitari che iniziano ad approcciarsi a questo mestiere: «Mi porto dietro l’importanza di mettere la professione e i pazienti davanti a tutto. Questo dev’essere l’obiettivo principale della nostra professione, al di là delle problematiche organizzative. La motivazione principale è rafforzata ancora di più da questa pandemia, in cui dobbiamo poter sostenere i pazienti nel momento di difficoltà».
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