Le persone con malattie croniche in Italia sono 26 milioni, il 43% della popolazione. Il 39% ha una cronicità (23,5 milioni che possono essere assistiti nelle Case di comunità e negli ospedali di comunità) e il 4% una cronicità complessa (multi-cronicità anche gravi: 2,5 milioni di persone con cure domiciliari di II e III livello, cure palliative e hospice)
Le malattie croniche costituiscono la principale causa di morte in quasi tutto il mondo, in Europa si stima siano responsabili di una spesa sanitaria valutabile intorno ai 700 miliardi di euro per anno e la causa di circa l’86% dei decessi. Ma l’Italia, pur ponendosi agli ultimi posti nella classifica dell’Europa a 28 (dal 2020 a 27 per Brexit), presenta (dati Eurostat) forti differenziazioni regionali con percentuali di decessi per cronicità sul totale dei decessi che vanno da meno del 19% nelle Regioni del Nord a quasi il 25% in quelle del Sud. E un’ulteriore diversità – sempre secondo i dati Eurostat – è tra uomini (19,6% nel 2019) e donne (24,5%). Secondo il profilo della Sanità italiana 2020 della Commissione Europea, pubblicato dall’OCSE, circa la metà degli italiani dichiara di soffrire di una o più malattie croniche dopo i 65 anni, anche se è sbagliato pensare che siano patologie solo dell’anziano.
Nonostante il loro enorme impatto, l’azione di risposta dell’Italia si è sviluppata a rilento e a macchia di leopardo tra le Regioni. A distanza di quasi 5 anni dall’Intesa Stato Regioni sul Piano nazionale delle cronicità di settembre 2016, tutte le Regioni, lo hanno recepito ma con tempi e modalità che vanno dai 2 mesi della Puglia agli oltre 3 anni della Sicilia; differenze sono riscontrabili anche nella tipologia di atti di recepimento: Delibere di Giunta Regionali o Delibere del Commissario ad Acta le più frequenti, ma anche Delibere del Direttore Generale o Leggi Regionali quelle rilevate. Ci sono poi recepimenti formali come, ad esempio, quelli di Molise e Calabria e recepimenti più sostanziali, cui sono seguiti strategie e azioni puntuali per attuare concretamente i contenuti e il modello del Piano Nazionale della Cronicità. È il caso, solo per fare alcuni esempi, del Piemonte, dell’Umbria e del Veneto che lo ha recepito direttamente all’interno del proprio Piano sociosanitario regionale 2019-2023.
La pandemia, come ha avuto modo di evidenziare Salutequità, ha impattato sui pazienti non-Covid, a partire dalle persone con cronicità, mettendo in evidenza da una parte la fragilità del sistema di presa in carico territoriale, dall’altro alcune innovazioni e semplificazioni da mantenere, come pure cambiamenti da continuare a mettere a punto. Per questo Salutequità ha avviato una ricognizione analitica per rimettere al centro l’attenzione rispetto alle politiche per la Cronicità come case study e sfida per l’equità, riconosciuta come tale anche ante-Covid e fare il punto per rilanciare, ammodernare e integrare la strategia del Piano Nazionale Cronicità.
Il progetto, realizzato grazie al contributo non condizionato di UCB, Merck Group, Sanofi e Servier, si articola in quattro fasi: raccogliere evidenze; confronto tra tutti gli stakeholders valorizzando le competenze delle associazioni di pazienti-cittadini e dei professionisti sociosanitari; individuazione e condivisione delle priorità; stesura di un Report finale (analisi e proposte) con un evento di presentazione per discutere con i soggetti chiave le evidenze e le priorità prodotte.
«Purtroppo – spiega Tonino Aceti, Presidente di Salutequità – la mancata/ritardata attuazione e/o l’attuazione a macchia di leopardo da parte delle Regioni, di Leggi e/o atti di programmazione sanitaria nazionale già approvati, continua a rappresentare una tra le principali criticità dell’attuale governance del Servizio Sanitario Pubblico, che contribuisce a minare la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni e ad aumentare le attuali disuguaglianze che già esistono tra le Regioni. Produrre dati e informazioni sulle politiche per la cronicità, selezionare le priorità insieme agli attori protagonisti e insieme portarli all’attenzione della politica e delle amministrazioni è quel che faremo nei prossimi mesi. L’attuazione e l’ammodernamento del Piano nazionale della cronicità rappresenta una vera e propria priorità sulla quale tutti dobbiamo subito lavorare, e il Covid-19 lo ha reso drammaticamente evidente, anche perché se da una parte il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza stanzia molte risorse per la costruzione dell’infrastruttura dell’assistenza socio-sanitaria territoriale, dall’altra c’è bisogno anche di una strategia/modello di presa in carico chiaro, che tenga conto di tutte le innovazioni positive prodotte durante la pandemia e che sia applicato in tutto il Paese. Le malattie croniche causano ogni anno 38 milioni di decessi e nei prossimi dieci anni si prevede che aumenteranno del 17% – conclude Aceti – e per questo devono essere monitorate e adeguatamente affrontate, secondo i principi che Salutequità fa suoi e porta avanti: sviluppo e implementazione di uno specifico sistema di sorveglianza sullo stato dell’accesso alle cure e sulla presa in carico di tutti i pazienti, alimentato da un costante flusso informativo delle Regioni».
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